Benvenuti nel report "La Sicilia e l'Etna"

 

                

 

LA SCHEDA INFORMATIVA


BAROCCO
Il '600 fu per Acireale il secolo d'oro dell'architettura barocca, sia quella più evidente del Palazzo di città, della Basilica di S. Sebastiano e dei palazzi di via Dafnica, sia quella più semplice dei quartieri popolari, dei tracciati di via Galatea e del quartiere delSuffragio.
Il terremoto del 1693 danneggiò i magnifici monumenti del centro, ma la successiva ricostruzione trionfa nel barocco della Basilicadi S. Sebastiano; del complesso di Piazza Duomo con il trilatero del Duomo, della Basilica dei SS. Pietro e Paolo, del Palazzo di Città; della loggia del Monastero delle Benedettine; dei palazzi neoclassici di corso Umberto e corso Savoia.
Tutta la città conserva intatte le forme del barocco siciliano, nelle case, nei portali lavici dai mascheroni scolpiti, nell'intreccio delle vie.
ZAFFERANA ETNEA

  
LA STORIA
Il borgo si sviluppò con l'insediamento in valle San Giacomo dei frati Benedettini, che fondarono un monastero nella vigna "Ursina", dove sorgeva anche una chiesa dedicata a San Giacomo. Il toponimo più antico di Zafferana è "Cella", che indicava la stessa contrada denominata San Giacomo. Il toponimo Zafferana si rileva invece in alcune carte del 1694. Il suo significato deriverebbe dall'arabo "Zafarana", ossia contrada ricchissima di acqua. Un'altra ipotesi fa derivare il nome del paese dall'arabo "Zaufanah", ovvero "giallo", per le grandi estensioni di ginestre che si trovano nel suo territorio. Altra teoria ammette la possibilità che il paese è stato così battezzato per le sue coltivazioni di zafferano. Il primo nucleo abitato si sviluppò verso la fine del 1600 attorno alla chiesa di San Giacomo. Nel 1792 la lava dell'Etna divorò numerosi frutteti e vigneti della zona. In quell'occasione i fedeli portarono in processione il simulacro della Vergine Maria invocando il miracolo di bloccare la forza distruttrice del vulcano. La colata si fermò a poche centinaia di metri dal paese. Nel 1818 un violento terremoto colpì il paese, distruggendo numerose abitazioni e mietendo 34 vittime. Nel 1820 Zafferana divenne comune autonomo.
 
ZAFFERANA ETNEA OGGI
Anche in questo secolo le eruzioni dell'Etna hanno più volte minacciato Zafferana Etnea, senza mai, però, arrecare significativi danni. Proprio all'Etna Zafferana deve la sua fortuna. Il turismo è infatti una delle sue principali fonti di reddito (18.000 presenze alberghiere annue). Nel settore dell'artigianato notevole è la produzione di souvenirs che incontrano il favore dei turisti. Sviluppata è anche l'agricoltura.
 
I MONUMENTI
I monumenti di Zafferana Etnea sono prevalentemente in stile barocco.
Notevole è la Chiesa Madre, ricostruita dopo il terremoto del 1817 ed intitolata alla Madonna della Provvidenza; è fiancheggiata da due campanili gemelli e la sua facciata, in pietra bianca, contrasta in maniera suggestiva con la nera scalinata in pietra lavica. Al suo interno vi si conservano alcune opere del locale pittore Giuseppe Sciuti (1834-1911). In stile liberty è invece il Palazzo Comunale dove sono conservate altre mirabili opere di G.Sciuti. Altri monumenti da ricordare sono la Chiesa della Madonna delle Grazie, il Parco Comunale, la Villa Manganelli, la Villa Gravina e la Villa Tripi.
 LE RICORRENZE


Agosto (1^ domenica): festeggiamenti in onore della Madonna della Provvidenza, patrona del paese.
Settembre: assegnazione del premio letterario "Vitaliano Brancati".
Ottobre: assegnazione del premio "Polifemo d'argento" per l'arte, la cultura e lo sport .

GIARRE


LA STORIA
Pare che nel territorio dell'attuale Giarre sorgesse la città greca di Callìpoli, fondata da coloni calcidesi nel VII secolo a.C.. Le prime notizie del borgo risalgono al XVIII secolo, quando si formò il primo nucleo abitato alla dipendenza della Contea di Mascali, feudo ecclesiastico. Lo sviluppo di Giarre appare legato alla sua felice posizione sulla via consolare che univa Catania con Messina. Il suo nome è da attribuirsi allle stazioni di posta dove si trovavano le giare a cui i cavalli potevano abbeverarsi. Il borgo si staccò da Mascali nel 1815, poco dopo la soppressione dei feudi e fu costituito in comunità autonoma.
 

GIARRE OGGI
Giarre comprende le frazioni Altarello, Carruba, Macchia, San Giovanni, San Leonardello e Trepunti. Oggi è uno dei centri più dinamici della provincia soprattutto per quanto riguarda il commercio di primizie di frutta e ortaggi. Fiorenti sono la viticoltura e l'agrumicoltura e buono è il patrimonio zootecnico. L'industria è presente nei settori della pastificazione, meccanico, estrattivo e dei materiali da costruzione. Vi sono anche fabbriche di dolci, , di mobili e di imballaggi. Buone risorse sono anche il turismo estivo (12.000 presenze alberghiere annue) ed il commercio.
 
I MONUMENTI
Gli edifici antichi si presentano prevalentemente baroccheggianti con qualche eccezione neoclassica come il Duomo, edificato nel secolo scorso ma completato di recente, dotato di una splendida cupola. Notevole anche la Chiesa di Sant'Isidoro e alcuni palazzi nobiliari.
 
LE RICORRENZE
10 maggio: festeggiamenti in onore di Sant'Isidoro, patrono di Giarre.
Maggio: sagra delle ciliege e delle rose.
Settembre: fiera dell'agrumicoltura, ortofrutticoltura e industrializzazioni agricole.
Settembre: mostra-mercato dell'artigianato siciliano
ACIREALE


LA STORIA
È nella mitologia che Acireale trae il suo nome, e più precisamente alla leggenda dei Ciclopi (cantata dai poeti greci e dai latini Ovidio e Virgilio), legata alla storia d’amore tra la ninfa Galatea e il pastore Akis (in latino Aci), perseguitato dal rivale Polifemo e trasformato poi in fiume dal Dio del mare Poseidone. Sulle rive del fiume Akis, oggi scomparso, vissero popolazioni primitive e, verso la fine del VIII secolo a.C., coloni greci vi fondarono una città dal nome Akis, della quale non è mai stata identificata l’esatta ubicazione. Centro importante dopo l’occupazione romana, ebbe un ruolo rilevante durante la prima guerra punica (III secolo a.C.), e alla fine del II secolo a.C. vi si concluse la guerra servile (101 a.C.). Prese allora il nome di Aquilia in onore del console romano Aquilio Manio Nepote, amico di Mario, vincitore sugli schiavi ribelli siciliani. Sotto i bizantini Aci, a difesa delle frequenti incursioni saracene, fu munita di un forte castello, che verso la fine del IX secolo servì da rifugio agli abitanti, durante l’ultima fase dell’invasione araba della Sicilia. Nel XII secolo fu interamente distrutta (in parte dal terremoto del 1169 e in parte dall’eruzione dell’Etna). Gli acesi si dispersero nei dintorni e fondarono numerose borgate, alcune delle quali furono battezzate Aci, mentre non lontano dalla città distrutta un nucleo più nutrito di profughi fondò Aquilia Nuova, che ebbe subito un rapido sviluppo. Ma nel 1326 una violenta incursione della flotta del re di Napoli ed un incendio di vaste proporzioni spinsero gli abitanti a rifugiarsi sull’altopiano dove sorge l’odierna città. Realizzata con un disegno più ampio ed arricchita di edifici pubblici e religiosi nei secoli successivi, nel 1642 prese il nome di Acireale per decreto del Re di Spagna Filippo IV, che l’affrancò da ogni vincolo o ipoteca feudale assoggettandola direttamente alla corona. Il terremoto del 1693 danneggiò gravemente la città, ma non al punto, come invece era accaduto in passato, di dover essere abbandonata dalla popolazione. Si riprese rapidamente divenendo un importante centro commerciale, si sviluppò sul piano edilizio e fu dotata di monumenti e di nuovi edifici, acquistando un suo ruolo anche sul piano della cultura con la fondazione di alcuni istituti e nel 1844 fu eretta a sede vescovile.Vi nacque il pittore Pietro Paolo Vasta (1697-1760) che tra il 1720 e il 1750 dipinse affreschi tra i più belli mai realizzati in Sicilia.

 
ACIREALE OGGI
Oggi Acireale è un attivo centro commerciale, sede di numerose industrie. Vi sono pastifici, industrie per l’imbottigliamento di acque minerali, cave di pietra, miniere di zolfo e numerose imprese artigiane. Nel settore agricolo prevale l’agrumicoltura, che interessa circa 2500 ettari di terreno coltivato, seguita dalla viticoltura. Numerose sono le imprese attrezzate per la lavorazione e l’esportazione di limoni. Altra importante e fondamentale risorsa di reddito è il turismo: Acireale è infatti una rinomata e attrezzata località climatica, termale e balneare; ha una media di 30.000 presenze alberghiere ogni estate (in netto aumento negli ultimi anni le presenze straniere) e richiama a carnevale un altissimo numero di visitatori da tutte le parti della Sicilia.

 I MONUMENTI
Nessun monumento cittadino risale al di là del periodo barocco, ma importanti testimonianze archeologiche, tra cui un famoso busto di Giulio Cesare, sono raccolte nell’edificio della biblioteca e pinacoteca Zelantea, mentre una preziosissima collezione di monete antiche è custodita nel palazzo Pennisi di Fioristella. Le numerosissime chiese barocche si dividono in due gruppi, uno risalente al ‘600, in cui si fondono varie tendenze stilistiche, ed uno al ‘700.
 Al primo gruppo appartengono, oltre alla prima costruzione del Duomo (poi successivamente rimaneggiato) col bel portale barocco, l’armoniosa Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, la grande Basilica di San Sebastiano, con vasta e bella facciata di struttura ancora tardo rinascimentale a tre piani e stupendi affreschi di A. d’Anna.
 Al ‘600 appartiene anche il Palazzo Comunale (1659) con belle decorazioni scultoree di fastoso gusto spagnolesco. Numerose le Chiese del ‘700 (spesso decorate dagli affreschi di P.P.Vasta): San Camillo dei Crociferi, dall’accordo assai armonioso tra architettura e decorazione, S.Maria del Suffragio, S.Antonio, la Maddalena, il Carmine, S.Domenico ed altre, non di rado rimaneggiate.
 Altre opere da ricordare sono: il Palazzo del Fiorentino, il Santuario Madonna di Loreto, le Terme di S.Venera, la Chiesa dei Filippini.
 LE RICORRENZE
Carnevale: "il più bel carnevale di Sicilia", con sfilata di carri allegorici, carri infiorati, gruppi in maschera, concerti, spettacoli.

24-27 luglio: festeggiamenti in onore della patrona Santa Venera con tradizionali manifestazioni folcloristiche, rappresentazioni teatrali e spettacoli in genere.
Gennaio: festa di San Sebastiano con processione solenne. Il fercolo del Santo è montato su un carro di legno (detto "Vara") che sfila lungo le vie della città.
24-27 luglio: fiera nazionale del bestiame.
CATANIA


LA STORIA DI CATANIA
(fino all'anno 500 d.C.)
La catena collinare che circonda Catania suggerì il primo nome, "Catinon", al primitivo villaggio siculo sorto in prossimità della foce del fiume Amenasos, nel periodo eneolitico. Qui, nella fase conclusiva della penetrazione greca in Sicilia, intorno al 729 a.C., si insediò una colonia di Calcidesi, guidata da Tucle, l'uomo che aveva fondato Nasso e successivamente Lentini, dando vita ad un nuovo agglomerato, una vera acropoli sull'altura sovrastante il villaggio. La nuova colonia greca conobbe subito un rapido sviluppo, sul piano edilizio, organizzativo, legislativo e culturale. Nel VII secolo a.C., Caronda dette a Catania un codice di leggi scritte, estese in seguito a tutte le città siceliote. Il poeta Stesicoro ed il filosofo Senofane, fondatore della setta eleatica, la scelsero come propria residenza. Fu dotata di templi, di teatri, di terme, di una zecca e di un erario e fu visitata dai poeti e dagli uomini più colti della Grecia. Ma la prosperità e l'espansione costante non potevano non suscitare gelosie e contrasti con la vicina Siracusa, che già agli inizi del V secolo a.C. si era assicurata una parziale supremazia su numerose città dell'Isola. Nel 476 a.C., rompendo ogni indugio, il tiranno di Siracusa Gerone conquistò Catania, fece trasferire la popolazione a Lentini sostituendola con coloni dorici e le impose il nome "Etna". Ma la reazione dei calcidesi contro Gerone e contro il successore Trasibulo fu tale che pochi anni dopo (461 a.C.) assediarono Etna, la riconquistarono scacciando i coloni dorici (che si trasferirono ad Inessa, cui diedero il nome Etna) e le ridiedero l'antica denominazione. Ma i contrasti con Siracusa continuarono non soltanto per le differenziazioni etniche quanto piuttosto per esigenze di ordine vario legate alle mire espansionistiche di entrambe, alla inevitabile concorrenza commerciale e al problema della sicurezza militare. Questi contrasti esplosero come una conseguenza della guerra del Peloponneso: Catania si offrì ad Alcibiade come base delle operazioni militari contro Siracusa (415 a.C.). Nel 403, Dionisio di Siracusa si impossessò di Catania che fu duramente saccheggiata: gli abitanti furono in parte allontanati ed in parte venduti come schiavi e la città fu ripopolata con mercenari che erano stati assoldati in Campania, in Calabria ed in Puglia. Ma questi l'abbandonarono nel 396 a.C. sotto la minaccia della flotta cartaginese, comandata da Magone e Imilcone che conquistarono Catania e la presidiarono, dopo aver sconfitto la flotta siracusana. Conquistata dall'ateniese Callippo (353 a.C.), nel 345 cadde sotto la tirannia di Mamerco il quale, unitosi con Timoleone, tiranno di Siracusa, contribuì a restituire ai Greci una larga prevalenza su tutta la Sicilia (338 a.C.). Ma Catania aveva ormai perduto le sue caratteristiche elleniche, per cui fra le prime città dell'isola ad aprire le porte a Pirro, re dell'Epiro, e in seguito a Roma, che la occupò nel 263 a.C., le dette il nome di Catina o Catana e l'annoverò tra le città decumane. Sotto la dominazione romana, che assicurò lunghi periodi di pace, Catania si sviluppò economicamente e demmograficamente, grazie alla sua stessa posizione sul mare ed al volume dei suoi commerci non più turbati dall'invadenza siracusana. Gravemente danneggiata durante la prima guerra servile (138 a.C.), fu semidistrutta da un'eruzione dell'Etna nel 121 a.C. e fu letteralmente depredata dal propretore Verre, come testimoniano le denunce di Cicerone. Durante la guerra civile parteggiò per Sesto Pompeo e nel 21 a.C. Augusto vi insediò una colonia di veterani, accelerandone così il processo di latinizzazione e di integrazione delle minoranze etniche, nonchè una trasformazione sul piano culturale e giuridico. Sotto Roma, Catania ampliò sensibilmente il perimetro urbano e fu cinta di mura. Fu dotata di teatro e di terme, di foro e del circo, del ginnasio e dell'anfiteatro, nonchè di un grandioso acquedotto, mentre furono restaurati gli edifici del periodo greco. Eretta a municipio romano, fu la sede del maggior magistrato romano in Sicilia fino alla tarda età imperiale. E con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476 d.C.), Catania non fu coinvolta nella crisi generale, ma ebbe invece un impulso nelle attività edilizie e agricole, soprattutto con l'insediamento di comunità ebraiche ed orientali, che ebbero un loro ruolo nell'incremento dell'economia, della produzione commerciale e artigiana.
LA STORIA DI CATANIA
(dopo l'anno 500 d.C.)
Con l'occupazione dei Vandali, degli Eruli, dei Goti, degli Ostrogoti ed infine dei Bizantini di Belisario (535), Catania non subì arresti nella prosperità economica, anzi se ne avvantaggiò, nella metà del VI secolo, grazie allo spostamento verso Oriente dei traffici marittimi e con il trasferimento in città della zecca dell'impero bizantino nonchè con le pressanti richieste di derrate e di legnami da parte di Costantinopoli, per sostenere la concorrenza delle flotte musulmane nel Mediterraneo. Ma con lo sbarco degli Arabi e la conquista di Palermo (831), Catania risentì, come le altre città siciliane, del clima di incertezza e di costante minaccia e fu gravemente colpita nella sua economia dalle frequenti incursioni che si protrassero per tutto il IX secolo. Se riuscì a sostenere vittoriosamente l'assedio musulmano del 900, finì col perdere la propria indipendenza e quindi il carattere omogeneo della sua popolazione con forti infiltrazioni di berberi e di arabi-orientali, pur rimanendo una importante città marittima. Verso il 1040, con la disgregazione del dominio arabo, Catania fu sede di una signoria e teatro di scontri tra i vari emiri in lotta per il possesso di tutta l'isola, l'ultimo dei quali, Ibn at-Thumnah, invocò l'intervento dei Normanni (1060). Nel 1071, la città fu occupata dal conte Ruggero d'Altavilla come alleato degli Arabi, ma suscitò una rivolta con il suo comportamento. Neutralizzati i Musulmani, Ruggero concesse la città in feudo ad Angerio (1082), il bretone abate dell'abbazia benedettina di Sant'Agata, consacrato vescovo dieci anni dopo. Sotto i Normanni, per quanto fossero favorite Messina e Siracusa, Catania prosperò, grazie ai ricchissimi prodotti dell'entroterra, ai pregiati legnami dell'Etna, alla pece di Mascali. Ma questo processo di sviluppo fu bruscamente interrotto dal terremoto del 1168 che provocò ingentissimi danni e ben quindicimila vittime. La ricostruzione fu rapida, ma nel 1194 Enrico IV di Svevia ne ordinò il saccheggio e la demolizione di alcuni edifici, per punirla di aver parteggiato con Tancredi. Federico II la tolse alla signoria dei vescovi e fece costruire il castello Ursino (1239), non solo per la difesa della costa, ma per fronteggiare eventuaali insurrezioni della città dalle tradizioni guelfe. Coinvolta nei moti del Vespro (1282) che si conclusero con la cacciata degli Angioini e dei Francesi, Catania riprese a prosperare con l'avvento della dinastia aragonese (1296), grazie ad alcune riforme di natura amministrativa e politica, nonchè della concessione di privilegi e di esenzioni fiscali che la posero su un piano competitivo con Palermo e Messina. Dal 1342 e fino agli inizi del XV secolo fu spesso sede della corte aragonese. Alfonso il Magnanimo confermò i vecchi privilegi e ne concesse altri, promosse la costruzione del molo (condotta a termine, però, solo nel XIX secolo), e soprattutto concesse a Catania la prima Università della Sicilia, il Siciliorum Gymnasium (1434), col privilegio dell'unicità rispetto alle richieste di Palermo e Messina, che divenne centro di ripresa per gli studi e la cultura classica. Ma lo studio non fu sufficiente a salvare la città dala crisi che travolse tutta la Sicilia durante la dominazione spagnola, contro la quale Catania insorse parteggiando con il moto di Giuseppe d'Alesi (1647-48). E la crisi economica fu trasformata in tragedia dalla più grande eruzione dell'Etna che la storia ricordi, nel 1669. La parte occidentale della città fu raggiunta e sommersa da un fiume di lava largo due chilometri, che travolse anche una larga parte del porto. Ancor più disastroso fu il terremoto del 1693 che provocò la quasi totale distruzione della città e bben sedicimila vittime. La ricostruzione, basata su una pianta del Lanza, Duca di Camastra, del vescovo Riggio e del canonico Celestri, eseguita dall'architetto Giovan Battista Vaccarini, con l'alacre partecipazione dei superstiti, fu realizzata rapidamente e con un gusto architettonico sufficientemente moderno e armonico. Rapido fu anche il ripopolamento: già alla fine del XVIII secolo aveva raggiunto un numero di abitanti superiore a quello del 1693. Oppostasi apertamente alla rivoluzione palermitana del 1820, Catania, insofferente del dominio borbonico, insorse nel 1837, nel 1848 e infine nel 1860. Nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, fu gravemente danneggiata da ripetuti bombardamenti aerei e navali e nello stesso anno fu occupata dagli alleati.
Nacquero a Catania: Caronda (VII secolo a .C), legislatore; Mario Cutelli (1586-1654), giurista, Olivio Sozzi (1699-1765), pittore; Ignazio Paternò Castello, Principe di Biscari (1719-1786), archeologo e mecenate; Giuseppe Recupero (1720-1778), vulcanologo; Giuseppe Gioeni (1747-1822), naturalista; Vincenzo Bellini (1801-1835), musicista e compositore; Giovanni Pacini (1796-1867), musicista; Michele Rapisardi (1822-1900), pittore; Mario Rapisardi (1844-1912), poeta; Antonio di San Giuliano (1852-1914), statista; Angelo Majorana (1865-1910), sociologo; Filippo Eredia (1877-1948), meteorologo; Angelo Musco (1871-1937), attore; benchè nativo di Vizzini fu registrato negli archivi anagrafici di Catania lo scrittore Giovanni Verga (1840-1922).
I monumenti di Catania
I terremoti e le colate di lava, hanno ripetutamente cancellato monumenti ed opere d'arte della Catania antica: la grande eruzione del 1669, che ricoprì molti quartieri della città (conservando però sotto il suo duro mantello importanti reperti archeologici), ed il terremoto del 1693, costrinsero i catanesi a ricostruire quasi completamente, in forme nuove e regolari, la propria città. Catania si presenta come una mirabile città settecentesca, dalle vie regolari e ben tracciate, dalle piazze armoniose e dagli sfondi prospettici ben studiati. Quasi tutti i suoi monumenti, ed in particolare una gran serie di chiese e di palazzi, appartengono al '700 e compongono, con Noto, il più unitario esempio italiano di città dell'epoca per architettura e omogeneità negli stili di costruzione. Non mancano però i monumenti più antichi: in particolare il patrimonio archeologico d'età romana è ancora assai ricco. Oltre alle opere raccolte nei musei sono da ricordare: il Teatro Romano con il vicino Odeon, il Foro Romano, le Terme di S.Maria dell'Indirizzo, le Terme Achelliane sotto il Duomo, il Carcere di S.Agata. Poche ma importanti le opere della prima età cristiana e del periodo bizantino: i resti della basilica paleo-cristiana sul luogo di S.Agata la Vetere, la Basilichetta bizantina di Monte Po, la Basilica del Salvatorello. Al periodo arabo-normanno appartengono i grandiosi resti del Duomo, ed in particolare il transetto, le absidi esterne, le basi dei campanili ed altre strutture rimesse in luce nell'interno.
Il più importante monumento del Medioevo catanese è il Castello Ursino: eretto sotto Federico II (1239-50), da Riccardo da Lentini, nelle tipiche e grandiose forme dei castelli svevi, con grandiose torri cilindriche agli angoli ed altre minori che scandisconole cortine, è ben conservato, anche in varie sale interne dalle grandiose coperture, ma mostra anche interessanti rifacimenti rinascimentali. Ospita un Museo che raccoglie numerose opere medievali.
Importanti tombe gotiche e strutture di cappelle della stessa epoca si osservano nel Duomo, il cui portale medievale si può attualmente ammirare nella Chiesa del S.Carcere.
Di eccezionale importanza sono gli sviluppi dell'arte barocca: una città completamente settecentesca si innalza sul corpo martoriato della vecchia Catania, con splendore di rettilinei, di incroci scenografici, di piazze armoniosamente concepite: celebri i complessi di via Etnea, di via dei Crociferi, della piazza del Duomo e della piazza dell'Università.
Alla tendenza spagnolesca appartengono l'esterno del palazzo Biscari ed il grandioso convento di San Nicolò (1703), con finestre ricchissime e, all'interno, chiostri più classicamente composti.
All'opera di Giovan Battista Vaccarini si devono importantissime opere catanesi: la facciata del Duomo, la Chiesa di San Giuliano, il Monastero di Sant'Agata, la famosa Fontana del Liotru (dell'elefante), il cortile del Collegio Cutelli, il complesso di piazza Università, il Municipio, la Chiesa di San Benedetto.Grandi opere sono dovute anche a Stefano Ittar, che risolve in una nuova e più capricciosa eleganza le forme vaccariniane. Tra i più significativi monumenti catanesi ricordiamo: la settecentesca Collegiata, la Chiesa di San Giuseppe, la Chiesa di Sant'Agata al Borgo, il palazzo Minoriti (sede della Provincia Regionale di Catania e della Prefettura), la Chiesa della SS. Trinità, il palazzo Asmundo, la Chiesa di San Benedetto, la Chiesa di San Giuliano, il Teatro Bellini, la Villa Bellini.



SANTA VENERINA  


LA STORIA
Il territorio fu già abitato in età romana e bizantina, come dimostrano i notevoli avanzi di terme e i resti di alcune chiese. Fu un casale compreso nel territorio di Acireale, vicino ad un antichissimo pozzo, detto "Sanctae Venerae puteus", presso il borgo denominato Porta. Il borgo attuale venne fondato nei primi anni del XVIII secolo e fu sempre compreso nel territorio di Acireale, di cui seguì le vicende. Il comune fu costituito nel 1934 con parti di territori staccati da Acireale, Giarre e Zafferana Etnea.

 
SANTA VENERINA OGGI
Oggi la viticoltura, l'agrumicoltura e l'ortofrutticoltura interessano quasi interamente la superficie coltivata. L'economia di Santa Venerina si basa anche su piccole industrie e su un attivo commercio.
 I MONUMENTI
La Chiesa Madre, dedicata a Santa Venera, è stata costruita nel 1740 e custodisce dipinti settecenteschi di P.P.Vasta.
La Chiesa del Sacro Cuore, con monumentale facciata a tre ordini e alta cupola, è stata edificata tra il 1875 ed il 1878. Nel territorio sussistono le rovine di un antico oratorio del VI secolo.
 LE RICORRENZE
Agosto (1^ domenica): festeggiamenti in onore di Santa Venera, patrona del paese.
Settembre: mostra di artigianato e di vini tipici.
TRECASTAGNI

 
LA STORIA
L'origine di Trecastagni è tra le più antiche dei paesi etnei. Alcuni storici la fanno risalire ai tre accampamenti romani che sorgevano nel luogo (Trium Castrorum); altri la collegano con riferimento ai martiri Alfio, Delfio e Cirino "tre casti agnelli" (tre anime pure) che nel 253 d.C. si sarebbero fermati nel paese nel corso del loro viaggio verso Lentini; una antica interpretazione, di origine popolare, ne fa risalire il nome a tre alberi di castagno che i fratelli martiri avrebbero piantato. Nel 1302, quando in Sicilia imperversò il potere angioino, tutti gli abitanti della Val di Demone lo riconobbero, sottomettendosi alla nuova egemonia, tranne gli abitanti di Trecastagni, Francavilla, Castiglione di Sicilia e di altri paesi vicini. I trecastagnesi, ribellandosi, formarono un piccolo esercito, e alleandosi con gli abitanti dei luoghi limitrofi, affrontarono e batterono i francesi. Fino al 1640 il territorio di Trecastagni fu amministrato dal Senato di Catania, per passare poi, nel 1649, ai don Giovanni. Nel XVIII secolo il paese venne quindi ceduto agli Alliata. Nei moti rivoluzionari del 1837 i trecastagnesi furono i più attivi tra tutti i cittadini dei paesi etnei a partecipare all'insurrezione. Un notevole contributo fu dato dai trecastagnesi alla causa dell'Unità d'Italia, come testimoniato nelle pubblicazioni dell'epoca.

TRECASTAGNI OGGI
Oggi Trecastagni è una cittadina tranquilla. Vi sono vasti boschi di castagni, querce e pini, che vengono intensamente sfruttati. Buone risorse sono la pastorizia e il commercio, particolarmente attivo in estate, grazie al movimento turistico. Vi operano piccole industrie.

I MONUMENTI
Il Santuario dei Santi Alfio, Delfio e Cirino: il Santuario venne costruito nel 1593 e viene considerato oggi uno tra gli edifici più importanti del '500 siciliano. All'interno conserva un calice d'argento del '600 e le suggestive statue dorate dei tre martiri. Il Santuario è legato al culto dei tre martiri da cui prende il nome.
La Chiesa Madre: tra i monumenti più importanti troviamo la Chiesa Madre, dedicata a San Nicola di Bari. É la più antica chiesa tra quelle dei paesi etnei. Risale al XV secolo e nel 1743 divenne collegiata. La sua struttura tipicamente basilicale, a tre navate con absidi (una centrale e due laterali), decorate con stucchi settecenteschi e un affresco di P.P.Vasta.
Altri monumenti: la Chiesa della Madonna dell'Aiuto, la Chiesa dei Bianchi, il Convento dei frati Francescani, la Chiesa di Santa Caterina, la Chiesa di Sant'Antonio da Padova.
LE RICORRENZE
9-10 maggio: festeggiamenti in onore dei Santi Alfio, Delfio e Cirino, protettori di Trecastagni
Agosto: mostra internazionale di pittura

TAORMINA
Su di una breve terrazza, formata da un caratteristico complesso di rocce calcaree che si affacciano al tratto meridionale dei Peloritani, nel sito dell'antica "Tauromenion", sorge la moderna Taormina, a metà strada tra Messina e Catania, in una zona paesaggistica che è tra le più belle ed incantevoli del mondo. La città fondata da Andromaco nel 358 a. C. al tempo della distruzione della calcidica Naxos ad opera di Dionigi, tiranno di Siracusa, ebbe alterna fortuna attraverso i tempi della sua millenaria storia. Ebbe un periodo di grande splendore sotto i greci ed i romani e fu sede preferita dei bizantini e successivamente anche loro capitale. Nel 902 venne distrutta dagli arabi. Ricostruita dai Valdemoni con il nome di "Taormina la nuova" venne nuovamente distrutta dagli arabi nel 962. Conquistata dai Normanni nel 1079 Taormina risorse. Nel 1410 fu scelta come sede di parlamento quando bisognava proclamare un nuovo re per la Sicilia dopo la morte di Martino II e nel secolo XVII chiese a Filippo V il privilegio di non essere più tolta al demanio. Per il clima mite, le bellezze del paesaggio, il patrimonio artistico e culturale Taormina, dotata di ottime attrezzature ricettive, è una stazione di soggiorno di fama mondiale e rappresenta una delle principali mete turistiche italiane. Oltre l'industria alberghiera notevoli fonti di reddito sono rappresentate da una fiorente agricoltura (ortofrutticoli ed agrumi) e da un artigianato specializzato nella produzione di souvenirs, nel ricamo e nella lavorazione artistica del legno e dei metalli.

I MUSEI DI TAORMINA 
 
Il Museo Archeologico è stato a lungo desiderato, a lungo negato, malgrado Taormina rappresentasse la culla dell’archeologia siciliana, e non soltanto siciliana. Finalmente si apre sotto l’egida del Comune e in stretta collaborazione con la Soprintendenza di Messina. Nelle sale del bel palazzo trecentesco della Badia Vecchia, esempio tra i più interessanti del gotico siciliano, sono esposti i materiali dagli scavi più recenti (1984-1998). Il filo che li congiunge è quello della topografia antica della città, come ricostruibile dai grandi monumenti ancora in luce e dai risultati della ricerca degli ultimi decenni. Ma la ricerca archeologica inizia precocemente a Taormina e coincide quasi con la nascita stessa dell’Archeologia. I primi scavi nel teatro risalgono al ‘700 e furono condotti dal principe de Spuches. Per illustrare questa prima fase della ricerca, che continua ininterrotta nel ’800, accanto ai reperti dagli scavi recenti sono in esposizione molti di quelli appartenenti alla storica raccolta conservata nell’Antiquarium del Teatro e principalmente formata da sculture. Con l’intento, infine, di unificare, anche se solo per poco, nel loro luogo di rinvenimento, sono confluite nell’esposizione anche reperti di notevole interesse, scoperti a Taormina ed ora conservati in Musei siciliani. Per le sue qualità artistiche, per il valore documentario e per le stesse circostanze di rinvenimento, la statua della sacerdotessa di Iside, senza dubbio, occupa un posto di primissimo piano. Esempio raffinatissimo oltre ché raro della scultura dell’avanzato II secolo d.C., la statua rappresenta una delle testimonianze più efficaci e dirette del culto di Iside e Osiride a Taormina. E’ scoperta nel 1861 da Saverio Cavallari nel corso delle esplorazioni condotte nell’area antistante la Chiesa di S. Pancrazio, costruita su di un tempietto di tarda età ellenistica. Si tratta di un importante ritrovamento, che, insieme a due iscrizioni, permette di attribuire con certezza al culto delle Divinità Egizie il più antico edificio: la statua è subito trasferita a Palermo, dove entra a far parte delle collezioni del Museo Archeologico. In esposizione sono anche taluni esemplari di oreficerie ellenistiche e bizantine, acquistati da P. Orsi presso antiquari taorminesi agli inizi del ‘900. Sono la testimonianza dell’interesse dello studioso per Taormina e per il suo allora fiorente mercato antiquario; interesse, che travalica l’archeologia, come illustrano i vasi del sei, settecento in maiolica, già della collezione Cacciola ed ora al Museo Bellomo di Siracusa. 
MUSEO ETNOANTROPOLOGICO PALAZZO CORVAJA
PIAZZA VITTORIO EMANUELE

Il Palazzo Corvaja fu realizzato durante la dominazione araba che a Taormina si protrasse dall’anno 902 all’anno 1079. Ha come base una torre a forma di cubo che ricorda agli arabi la sacra "Al Ka ‘bah", cioè il dado che, secondo Maometto, era il primo tempio innalzato a Dio da Abramo alla Mecca. La torre fu ampliata alla fine del tredicesimo secolo con l’aggiunta di alcuni corpi di fabbrica. L’ala destra del Palazzo, in particolare, fu realizzata agli inizi del 1400 per permettere le riunioni del Parlamento siciliano del 1411 ed al quale partecipò la regina Bianca di Navarra, reggente in Sicilia. E’ per questo motivo che il palazzo è anche chiamato Palazzo del Parlamento. Attualmente il Palazzo Corvaja è sede del Museo Etnoantropologico nel quale sono esposti oggetti dell’arte e della tradizione popolare del periodo compreso tra il XVI ed il XIX secolo.

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PALAZZO DUCHI DI SANTO STEFANO

 Il Palazzo Duchi di Santo Stefano, che è uno dei monumenti più belli di Taormina e dell’architettura medioevale siciliana, ospita la "Fondazione Mazzullo" e le opere dell’artista siciliano. L’intera struttura è stata acquisita dal Comune di Taormina nel 1963. Dopo il restauro è stata destinata ad ospitare le opere dello scultore Giuseppe Mazzullo, nato a Graniti -piccolo centro della valle dell’Alcantara a pochi chilometri da Taormina- nel 1913 e morto a Taormina nel 1988. Quasi tutte le sculture del maestro siciliano sono state realizzate in pietra lavica.

Mazzullo è stato, senz’altro, uno degli artisti più significativi dell’Italia del Novecento. Di lui e delle sue opere hanno scritto alcuni dei maggiori critici, da Palma Bucarelli a Marcello Venturioli, da Fortunato Bellonzi a Ferruccio Ulivi, Nello Ponente, Marco Valsecchi, Mario De Micheli. Ne hanno, inoltre, illustrato l’attività intellettuali ed artisti come Cesare Zavattini e Renato Guttuso che frequentavano lo studio dell’artista di via Sabazio a Roma (1946-1970). Negli anni ’70 il maestro Mazzullo si trasferì a Taormina e nel 1980, dopo una lunga trattativa, l’artista decise di donare alla città che lo ospitava una trentina delle sue

opere, tra sculture e disegni, che furono collocate, in esposizione permanente, nel Palazzo Duchi di Santo Stefano. Nel 1981 l’amministrazione comunale d’accordo con la famiglia dello scultore, decise di costituire la "Fondazione Mazzullo" con sede proprio nel Palazzo che si trova nei pressi di porta Catania, a sud della città. L’attività della Fondazione è tesa alla promozione d’incontri culturali ed artistici.

GIUSEPPE MAZZULLO

Tra realismo ed espressionismo, l’arte di Mazzullo punta alla ricerca dell’originario in natura, della "forma che è dentro". Ecco il perché delle pietre che sembrano appena abbozzate, sulla scia del "non finito" michelangiolesco. Negli ultimi anni della sua vita, Mazzullo si impegnò, con maggiore attenzione, nella ricerca dell’originario, del primitivo sino a giungere ad un’espressività arcaica, ieratica, accentuata dalla suggestiva e dura pietra lavica che richiama la scultura assiro-babilonese o egizia. Il felice incontro delle suggestive statue di Mazzullo con il Palazzo Duchi di Santo Stefano ed il suo bel giardino ricco di piante mediterranee, ha reso la Fondazione Mazzullo uno degli angoli più suggestivi e visitati di Taormina.


Chiese di Taormina

Basilica Cattedrale - chiesa di S. Nicolò di Bari
piazza Duomo - tel. 0942 23123
Parroco: Sac. Cesare Cafeo D'Angiò

S. Maria Goretti
Taormina - Mazzeo tel. 0942 36595
Parroco: Sac. Giuseppe Di Bella

Sacro Cuore di Gesù
Taormina - Trappitello tel. 0942 50210
Parroco: Sac. Salvatore Arcidiacono

Chiesa Anglicana S. Giorgio
Via Pirandello, 10 tel. 0942 23859


DELL'ARCIPRETURA PARROCCHIALE SAN NICOLO' DI BARI TAORMINA

CASTELMOLA

Castelmola è un comune che ha origine antichissime. Secondo il Prof. Casagrandi ebbe la denominazione "Mylai" dai primi navigatori ellenici che la scorsero in lontananza e che le diedero questo nome per la sua caratteristica conformazione di gran sasso rotondo, raffigurante o un enorme mola o una grande macina da mulino sovrapposta ad una altura che funge da base. La sua storia è legata strettamente a quella di "Tauromenion" l'odierna Taormina tanto che le loro vicende sono spesso così fortemente intrecciate da non poter distinguere quelle di una da quelle dell'altra. Distrutta da Dionigi, di Siracusa, nel 392 a.C.,fu ricostruita nel 350 a.C. costituendo l'acropoli più alta della Tauromenion Greco-Sicula. Sotto il periodo romano ebbe un certo splendore, servì da rifugio per gli schiavi ribelli durante le guerre civili (135-132a.C.). Successivamente subiva l'invasione Musulmana. Risorgeva successivamente sotto il periodo dei Normanni, pur rimanendo sempre nei modesti limiti di borgo. Importantissimi sono i resti di una necropoli Sicula (X-VII sec a.C.) in località "Cocolonazzo di Mola", il cui materiale viene conservato nel museo archeologico di Siracusa. Per quanto riguarda le attività economiche, c'è da rilevare che Castelmola vive principalmente di attività terziarie connesse al turismo. Nel settore dell'artigianato, invece, c'è da segnalare: la produzione dei suddetti "scanni", antichi sgabelli costruiti in legno di Ferla; il ricamo a mano di tessuti e i lavori in ferro battuto.
 

SIRACUSA

http://www.apt-siracusa.it/

Città di mare, che nel mare si allunga con l'isola di Ortigia, Siracusa è adagiata lungo una baia armoniosa. Il nome evoca subito il passato greco, i tiranni e la rivalità con Atene e con Cartagine, passato di cui la città conserva numerose testimonianze, questo si affianca un periodo forse meno conosciuto, ma non meno suggestivo, che si rivive percorrendo le stradine dell'isola, dove il tempo sembra essersi fermato in bilico tra Medioevo e Barocco. Subito alle spalle di Ortigia si estende l'Acradina, come veniva chiamata nell'antichità la zona pianeggiante contigua ad Ortigia. E poi la Neaú polis, area "nuova" dove si trova il teatro, l'Orecchio di Dionisio e la latomia del Paradiso, una delle più belle, e, ad oriente, il quartiere di Tyche che ricorda la presenza di un tempio dedicato alla dea Fortuna (dal greco Tyche, il caso). Domina tutta l'Epipoli, custodita e difesa dal castello Eurialo, in posizione elevata e strategica.

ORTIGIA

Giace de la Sicania al golfo avanti
un'isoletta che a Plemirio ondoso
è posta incontro, e dagli antichi
è detta per nome Ortigia...
Virgilio, Eneide, Canto III.

Data la ricchezza di palazzi e di scorci interessanti, diviene impossibile segnalare un percorso lineare che comprenda tutto ciò che merita di essere visto. Qui di seguito si nominano quindi solo le vie di maggior interesse lasciando alla fantasia ed alla voglia di chi si addentra in questi angoli di storia, l'emozione della scoperta dei particolari. Un consiglio: viaggiate con il naso all'insù, per non perdere i segreti che queste stradine, con i loro palazzi, racchiudono.

Uno sguardo alla costa...
L'isola, l'insediamento più antico della città, è legata alla terraferma dal Ponte Nuovo, prolungamento di c.so Umberto I, una delle principali arterie di Siracusa. Qui la sensazione del mare si fa più forte fin dalla darsena che si stende sia a destra che a sinistra del ponte ed è animata da barche colorate. Lasciando vagare lo sguardo lungo la banchina si nota a destra, proprio sull'angolo, un bel palazzo in stile neogotico: l'intonaco rosso e le bifore della dimora del poeta e scrittore Antonio Cardile (ME 1883-SR 1951) invitano il visitatore a proseguire il peniplo dell'isola. L'atmosfera che si respira è più calma e pacata ed i rumori sembrano giungere attutiti. Sulla destra il mare, sulla sinistra le antiche mura spagnole che testimoniano come un tempo (fino al 1800) tutta la città vecchia fosse fortificata. La Porta Marina, la cui lineanità è spezzata da una bella edicola in stile catalano, immette nel passeggio Adorno, creato sopra le mura nel XIX sec. Oltre, lo sguardo abbraccia l'immensa distesa del Porto Grande, in passato teatro di imponenti battaglie.

Fonte Arethusa - Sorgente di acqua dolce, ebbe nell'antichità un ruolo determinante per l'insediamento del primo nucleo di abitanti. L'esistenza della fonte è legata ad una leggenda. Arethusa, ninfa di Diana perseguitata dall'amore del cacciatore Alfeo, chiede aiuto alla dea che la fa fuggire lungo una via sotterranea. Raggiunta così l'isola di Ortigia, la ninfa si trasforma in fonte. Alfeo però non si perde d'animo e, trasformatosi in fiume sotterraneo, passa lo Ionio fino a raggiungere Ortigia dove mescola le sue acque con quelle di Arethusa.
Oggi nella fonte, tra papiri e palme, nuotano anatre e papere.
Il fronte delle case, dai colori pastello, rende l'armoniosa continuità che pervade anche le vie interne. Appare sulla punta estrema dell'isola la mole del Castello Maniace (non visitabile). Fortezza in pietra arenaria costruita da Federico II di Svevia nella prima metà del XIII sec. lI nome è quello del generale bizantino Giorgio Maniace che nel 1038 cerca di sottrarre Ortigia agli Arabi, fortificando l'isola ed in particolare il luogo dove poi Federico II riedificherà il castello. La struttura squadrata e massiccia è tipica della tipologia costruttiva sveva. Alcuni elementi architettonici testimoniano come il castello probabilmente avesse funzione difensiva, ma anche di rappresentanza. Proseguendo si raggiunge la riviera di Levante da cui si gode di una bella vista del Castello (la migliore resta quella che si gode dal mare). Si supera la Chiesa dello Spirito Santo, dalla bella e bianca facciata a tre ordini raccordati da volute e scandita da lesene, e si raggiunge, lasciato alle spalle anche il Forte Vigliena, il Belvedere S. Giacomo, un tempo baluardo difensivo, da dove si gode di una bella vista su Siracusa.

...ed una passeggiata nell'interno
Piazza Duomo - Dalla forma irregolare e leggermente tondeggiante lungo il lato che fronteggia la cattedrale, quest'incantevole piazza si permea di un'atmosfera particolarmente suggestiva al tramonto ed al calare della notte, quando viene illuminata. E' delimitata da bei palazzi barocchi tra i quali spiccano la notevole facciata di Palazzo Beneventano del Bosco, dalla bella corte interna, con di fronte il Palazzo del Senato (nel cui cortile è custodita una Carrozza del Senato del XVIII sec.) e la Chiesa di S. Lucia a chiudere il lato corto.

Duomo - Il sito ove sorge il Duomo viene destinato fin dall'antichità ad ospitare un luogo di culto. Ad un tempio eretto nel VI sec. a.C. si sostituì il Tempio di Atena, innalzato in onore della dea con i proventi della fatidica e schiacciante vittoria ad Himera (480 a.C.) contro i Cartaginesi. Il tempio viene inglobato, nel VII sec., in un edificio cristiano: vengono innalzati muri a chiudere lo spazio tra le colonne del penistilio e vengono aperte otto arcate nella cella centrale per permettere il passaggio alle due navate laterali così ottenute. Le imponenti colonne doniche sono ancora oggi visibili sul lato sinistro, sia all'esterno che all'interno dell'edificio. Forse trasformata in moschea durante la dominazione araba, la chiesa viene rimaneggiata in epoca normanna. Il terremoto del 1693 causò il crollo della facciata che viene rifatta in forme barocche (XVIII sec.) dal palermitano Andrea Palma che utilizzò come modulo compositivo basilare la colonna. L'ingresso è preceduto da un atrio con un bel portale fiancheggiato da due colonne a torciglioni lungo le cui spire si avvolgono rami d'uva.
All'interno, il lato destro della navata laterale è delimitato dalle colonne del tempio, che oggi danno accesso alle cappelle. Nella 1° cappella di destra è conservato un bel fonte battesimale formato da un cratere greco in marmo sostenuto da sette leoncini in ferro battuto del XIII sec.
La cappella di S. Lucia presenta un bel paliotto argenteo del '700. Nella nicchia è conservata la statua argentea della santa, opera di Pietro Rizzo (1599). La cattedrale raccoglie molte statue dei Gagini tra cui quella della Vergine (di Domenico) e di S. Lucia (di Antonello) lungo la navata laterale sinistra e la Madonna della Neve (di Antonello) nell'abside sinistra.
A nord della piazza, in via Landauna, si trova la Chiesa dei Gesuiti, dall'imponente facciata.

Galleria Civica d'Arte Contemporanea - Ospitata nell'ex-convento e chiesa di Montevergini (ingresso da via delle Vergini), la collezione raccoglie opere principalmente pittoriche di artisti contemporanei sia italiani che stranieri (Sergio Fermaniello, Marco Cingolani, Aldo Damioli, Enrico De Paris).

Galleria Regionale di Palazzo Bellomo - Palazzo Bellomo, sorto in periodo svevo (XIII sec.), viene ampliato e sopraelevato nel corso del XV sec. Si delineano così i due stili differenti: al piano inferiore portale ad arco ogivale e feritoie che lo rendono simile ad una fortezza: trifore sorrette da esili colonnine a quello superiore. Dapprima palazzo privato, passò nel '700 alle monache dell'attiguo monastero di S. Benedetto oggi totalmente inglobato nella struttura museale. Contigua al palazzo è ancora visibile la Chiesa di S. Benedetto dal bel soffitto a cassettoni. L'interno del palazzo presenta al centro un bel cortile porticato su cui si affaccia la scala che conduce al piano superiore. Il parapetto è ornato nella fascia alta da trafori a rosa e trilobati. Alla fine della prima rampa si trova una bella edicola in stile flamboyant.
Il museo - E' dedicato in massima parte all'arte siciliana. Chiaro lo stile bizantino di una bella serie di dipinti cretesi-veneziani (sala IV) raffiguranti la creazione del mondo (sei tavole), il peccato originale e la cacciata dal paradiso terrestre. Il piano superiore è prevalentemente dedicato alla pittura. Il pezzo più interessante è certamente la bella, ma rovinata Annunciazione di Antonello da Messina. Come in molti altri dipinti di questo artista si denota il gusto fiammingo per i particolari (il manto del santo, il paesaggio popolato di personaggi oltre la finestra) a cui si unisce il rigore formale, compositivo e prospettico italiani. Il seppellimento di S. Lucia, di Caravaggio, è forse ambientato nel sepolcro della santa all'interno delle omonime catacombe. Lo stile drammatico e provocatorio che caratterizza l'opera di questo artista si delinea nella stessa scelta compositiva: la folla di persone che si accalca alle spalle del corpo della santa, per terra, è dominata dalle figure dei becchini, delle quali una, imponente ed in primo piano, è di spalle. E la luce proietta ombre inquietanti.
Il museo presenta inoltre una serie di oggetti artistici tra cui arredi e paramenti sacri, presepi, mobili e ceramiche.
Poco lontano, in via S. Martino, l'omonima chiesa, il cui impianto originario risale al VI sec., conserva un portale in stile gotico-catalano.

Palazzo Mergulese-Montalto - E' un bellissimo palazzo, purtroppo non in ottime condizioni, la cui costruzione risale al XIV sec. La facciata si scandisce in due ordini divisi da un marcapiano dentellato. La parte superiore è ornata da superbe finestre elaborate, racchiuse da archi dal ricco intaglio e suddivise da esili colonnine tortili. Al piano inferiore si apre il portale ad arco acuto sormontato da una bella edicola. Dal palazzo si può raggiungere la vicina piazza Archimede, di formazione più recente. Animata al centro dall'ottocentesca fontana di Artemide, è delimitata da bei palazzi.
Dalla piazza nasce via della Maestranza.

Via della Maestranza - E' una delle vie principali e più antiche di Ortigia ed è fiancheggiata da abitazioni nobili di aspetto barocco di cui, qui di seguito, segnaliamo le più significative. Al n° 10 il Palazzo Interlandi Pizzuti e, poco più avanti, Palazzo Impellizzeri (n° 17), che presenta una facciata ritmata da finestre e balconi dalle linee sinuose. Poco oltre, Palazzo Bonanno (n° 33), sede dell'Azienda Autonoma di Turismo, è una severa costruzione medievale dalla bella corte con una loggia al primo piano. Al n° 72 si eleva l'imponente Palazzo Romeo Bufardeci, dall'esuberante facciata con balconi rococò. La via si apre poi in una piazzetta coronata dalla Chiesa di S. Francesco all'Immacolata cui si appoggia la torre campanaria risalente all'800. La facciata chiara, convessa, è lineare e scandita da colonne e lesene. La chiesa ospitava, nella notte tra 28 ed il 29 di novembre, un rito di origine antica, la Svelata, durante il quale veniva svelata l'immagine della Madonna. Questo avveniva nelle prime ore dell'alba (per permettere alla gente di recarsi al lavoro che un tempo iniziava prestissimo). Durante la notte una banda musicale annunciava ai fedeli l'inizio della celebrazione. Verso la fine della via si delinea la facciata ricurva di Palazzo Rizza (n° 110). Palazzo Impellizzeri (n° 99) domina la via dall'alto della sua sontuosa ed originale cornice di volti umani e grotteschi sormontata da motivi floreali.
Alle spalle dell'ultimo tratto si stende il Quartiere della Giudecca dalla planimetria antica, con vie serrate e perpendicolari tra loro. Venne abitato dalla comunità ebraica durante il XVI sec., fino alla loro espulsione.

Mastrarua - Oggi via Vittorio Veneto, era un tempo l'arteria principale di Ortigia. Era lungo questa via che il re entrava in città ed era qui che si svolgevano processioni, parate ufficiali e reali. E quindi logico che vi si affacciassero bei palazzi. Alcuni tra i più significativi sono Palazzo Bianco (n° 41). riconoscibile dalla statua di S. Antonio in un'edicola sulla facciata e dal bel cortile interno con scalea, Casa Mezia (n° 47) il cui portale è sormontato da una mensola a forma di grifone, e la Chiesa di S. Filippo Neri seguita dalla lineare facciata di Palazzo Interlandi e da Palazzo Monforte, purtroppo molto rovinato. Quest'ultimo fa angolo con via Mirabella lungo la quale si allineano begli edifici. In particolare, proprio di fronte a palazzo Monforte, si può ammirare l'elegante Palazzo Bongiovanni. Il portone è sovrastato da una maschera sopra la quale, ad aggetto, si trova la figura di un leone che regge un cartiglio recante la data 1772, e che funge da sostegno centrale di un balcone sagomato. La finestra centrale è segnata da volute. Proseguire lungo via Mirabella. Una piccola deviazione a destra permette di ammirare Palazzo Gargallo (oggi sede dell'Archivio Distrettuale Notarile), in stile neogotico. In corrispondenza di piazzetta del Carmine, si incontra anche l'altro Palazzo Gargallo (n° 34), sempre nello stesso stile. Via Mirabella segna anche l'inizio del quartiere arabo, caratterizzato da vicoli, o ronchi, particolarmente stretti. In uno di questi si trova anche la basilica paleocristiana di S. Pietro, oggi auditorium, di cui si può ammirare il bel portale. Sempre in via Mirabella, poco oltre, si incontra la chiesa di S. Tommaso, di origini normanne (XII sec.). Riprendendo la Mastrarua, al n° 111 si incontra un bel portale con esseri mostruosi. Al n° 136,. invece, si trova la Casa Natale di Elio Vittorini (nato il 23 luglio 1908).

Tempio di Apollo - L'edificio, costruito nel VI sec. a. C., è il più antico tempio dorico periptero (racchiuso da colonne) della Sicilia. Secondo un'iscrizione dedicato ad Apollo, secondo Cicerone ad Artemide, è stato trasformato in chiesa bizantina, poi in moschea e di nuovo chiesa sotto i Normanni. Si possono ancora vedere resti di colonne del peristilio e una parte del muro del recinto sacro.
Dalla piazza si diparte Corso Matteotti, passeggio di Ortigia, fiancheggiato da eleganti negozi.

PARCO ARCHEOLOGICO DELLA NEAPOLIS
Vi sono due differenti ingressi: uno situato in via Rizzo e l'altro in via Paradiso. Il percorso qui descritto prevede l'entrata da via Rizzo.

Teatro Greco - E' uno dei più imponenti dell'antichità. La cavea è stata completamente scavata nella pietra sfruttando la naturale pendenza del colle Temenite. La data di costruzione è stata stabilita intorno al V sec. a.C. in base alla notizia della rappresentazione della prima dei Persiani di Eschilo. Ci è giunto anche il nome del probabile costruttore: Damocopo, detto Myrilla per aver utilizzato unguenti (miroi) all'inaugurazione del teatro.
Il teatro viene modificato da Ierone II nel III sec. a.C.: divisa in nove cunei, la cavea è percorsa, a metà circa, da un corridoio. Lungo la parete, in corrispondenza di ogni settore, viene inciso il nome di una personalità o di una divinità. Ancora oggi è possibile distinguere le lettere che formano il nome di Giove Olimpio (DIOS OLYMPIOS ) nel cuneo centrale e, proseguendo a destra, fronte alla scena, quelli dello stesso Ierone II (BASILEOS IERONOS), della moglie Filistide (BASILISSAS FILISTIDOS), e della nuora Nereide (BASILISSAS NEREIDOS). Adattato in epoca romana per giochi d'acqua (si suppone) e combattimenti fra gladiatori prima della costruzione dell'anfiteatro, lo spazio viene utilizzato anche in epoche successive in modo improprio. Gli spagnoli infatti vi impiantano dei mulini ad acqua.
Nel settore centrale della cavea sono ancora visibili i solchi lasciati da due macine ed il canale di scolo dell'acqua. Alle spalle della cavea si trova un grande spiazzo su cui si apre, al centro, la cosiddetta Grotta del Ninfeo con vasca rettangolare ravvivata dalle acque di un acquedotto greco che corre per circa 35 km e nasce dal Rio Bottiglieria, affluente del fiume Anapo, nella zona di Pantalica. In disuso durante il Medioevo, nel XVI sec, l'acquedotto viene riattivato dal marchese di Sortino per alimentare i mulini impiantati nel teatro. Sulla sinistra si apre la Via dei Sepolcri. Nelle pareti che la fiancheggiano sono scavati ipogei di epoca bizantina e nicchie votive che servivano, appunto, per depositare offerte.
Ancora oggi al teatro vengono messi in scena spettacoli classici greci e latini che si svolgono durante l'estate (in giugno, tutti gli anni pari).

Orecchio di Dionisio - Questa suggestiva grotta si trova in una delle più belle latomie di Siracusa, la Latomia del Paradiso, oggi un delizioso giardino ricco di aranci, palme, magnolie. Come evoca il nome, l'aspetto della grotta richiama un padiglione auricolare, sia nella sagoma dell'entrata che nel disegno serpeggiante dell'interno. Fu Caravaggio, durante un suo viaggio in Sicilia agli inizi del '600, ad assegnarle questo nome, affascinato anche dalla leggenda secondo la quale Dionisio il Vecchio, grazie all'eco eccezionale, avrebbe potuto ascoltare, non visto, i suoi nemici.
La levigatezza delle pareti, così alte e regolari, e lo sviluppo interno, quasi labirintico e sempre immerso nella penombra, rendono difficile credere che si tratti di una cava. In realtà, questa particolare conformazione è dovuta alla tecnica di scavo utilizzata: una piccola fenditura nella parte più alta, poi allargata verso il basso (forse seguendo il tracciato di un acquedotto) man mano che si scoprivano strati di ottima pietra. La grotta ha anche un'eccezionale acustica e non è raro imbattersi in una guida, turista o curioso che si cimenta nel canto dando bella prova di sè.
Molte le storie che circolano sulla grotta e sul suo utilizzo una volta terminata: accanto all'ipotesi più veritiera che la vuole adibita a prigione (come tutte le altre latomie) e a quella più fantasiosa di "cornetto acustico" di Dionisio, c'è anche chi sostiene che venisse utilizzata dal coro per gli spettacoli al vicino teatro. Accanto si trova la Grotta dei Cordari, così chiamata perchè utilizzata, fino a poco tempo fa, da questi artigiani per intrecciare la corda in un ambiente piacevolmente fresco. Visibile purtroppo solo dall'esterno (per motivi di sicurezza) fornisce un ottimo esempio delle tecniche di scavo.

Ara di Ierone II - E' un immenso altare, lungo circa 200 m ed in parte ricavato nella roccia, eretto nel III sec. a.C, dal tiranno per i sacrifici pubblici. Di fronte si apriva una grande piazza rettangolare, probabilmente porticata, con al centro una piscina.

Anfiteatro Romano - E' stato costruito in epoca imperiale sfruttando la conformazione del terreno che ha permesso di ricavare, direttamente nella roccia, metà della cavea. E' la parte meglio conservata. L'altro emiciclo invece era formato da grossi conci di pietra riutilizzati nelle epoche successive. Si possono ancora distinguere i due ingressi, uno a sud ed uno a nord. Al centro dell'arena si apre un vano rettangolare collegato all'entrata sud tramite un fossato. Era uno spazio "tecnico" destinato ai macchinari scenici per la realizzazione di effetti speciali durante gli spettacoli.
Di fronte all'ingresso all'anfiteatro si trova la chiesetta preromanica di S. Nicolò dei Cordari (XI sec.) sul cui lato destro è visibile la piscina romana utilizzata per allagare l'anfiteatro in occasione delle naumachie e per pulire l'arena al termine dei combattimenti tra gladiatori e belve feroci.

Tomba di Archimede - Visibile solo dall'esterno da via Romagnoli, angolo via Teracati. All'estremità orientale della Latomia Intagliatella si estende la Necropoli Grotticelli. Tra le cavità ricavate nella roccia, se ne evidenzia una particolare, dall'entrata abbellita da colonne doriche (molto rovinate) e da un frontone a timpano. E' la cosiddetta Tomba di, Archimede, in effetti un colombario (ambiente con nicchie destinate ad accogliere urne funerarie) di epoca romana.

Le Latomie

Le latomie, dal greco litos: pietra e temnos: taglio, sono le antiche cave da cui venivano ricavati i blocchi di pietra calcarea utilizzati per la costruzione di edifici pubblici e grandi dimore. Dopo aver scelto la zona che offriva la possibilità di estrarre conci regolari e di buona qualità, si dava inizio allo scavo. Per estrarre la pietra si ricavavano delle fenditure nelle quali venivano inseriti cunei di legno. Si provvedeva poi a bagnare il legno che aumentava così di volume spaccando la pietra.
Per trovare strati di pietra più compatta, lo scavo veniva condotto in profondità, mediante l'apertura di grotte sempre più imponenti. Per sostenere la volta di copertura di queste cavità, venivano lasciati pilastri ricavati dalla roccia stessa. Si calcola che in questo modo fosse possibile ottenere quantità impressionanti di materiale. Una volta terminato lo scavo questi ambienti venivano utilizzati come prigioni, come riferisce anche Cicerone nelle Verrine. E' molto probabile che il luogo in cui vennero segregati i 7000 Ateniesi fatti prigionieri nel 413 a.C. fossero proprio le latomie. Rinchiusi per otto mesi, perirono tutti, tranne alcuni che ebbero la fortuna di essere venduti come schiavi e pochi altri che, narra la leggenda, seppero citare i versi di Euripide a memoria. Si deve inoltre pensare che a quei tempi l'aspetto delle grotte era sicuramente diverso: esse erano più ampie, più tetre e più adatte allo scopo, mentre quello che vediamo oggi è il risultato di crolli dovuti soprattutto a scosse telluriche. Nelle epoche successive questi spazi vennero invece utilizzati per cerimonie funerarie, come rifugio e poi come aree coltivabili e solo ultimamente si è pensato di rivalutarne l'importanza storica e recuperarle.
Tracciando una mappa di tutte le latomie (ne sono state individuate 12, ma alcune sono state " seppellite" dalle costruzioni), si nota che esse si dispongono lungo una sorta di arco che corrisponde al profilo della terrazza calcarea che si eleva approssimativamente al confine dei due antichi quartieri di Neapolis e Tyche.
La più suggestiva è la Latomia del Paradiso che si trova nel Parco Archeologico. Si tratta in effetti di un insieme di cave attorno alle quali è sorto un delizioso giardino. Dall'alto (di fianco al teatro greco) si riesce ad avere una visuale complessiva ed a distinguere alcuni dei pilastri che sorreggevano la volta di copertura delle grotte, crollata in seguito a movimenti tellurici.
Procedendo lungo la linea, verso est, si incontrano la Latomia Intagliatella, la Latomia di S. Venera, la Latomia del Casale e la Latomia dei Cappuccini, forse la più grandiosa e spettacolare grazie alle alte pareti scoscese.

MUSEO ARCHEOLOGICO REGIONALE PAOLO ORSI

Situato, quasi nascosto alla vista, nel parco di Villa Landolina, il museo rappresenta uno dei punti di riferimento fondamentali per la conoscenza del periodo preistorico della Sicilia fino ai tempi delle colonie di Siracusa.
La visita si articola lungo un percorso che segue la nascita e lo sviluppo delle varie fasi in ordine cronologico. Le tre sezioni principali, ben strutturate, sono correlate da una zona introduttiva centrale, sotto la quale, nell'interrato, si trova un auditorium nel quale vengono proiettati audiovisivi (programmazione all'entrata).

Settore A: preistoria e protostoria - Aprono la visita le raccolte di materiale fossile e di minerali, scheletri e resti di animali preistorici corredati di ampie schede informative sulla fauna insulare. Si passa quindi alle testimonianze umane nel paleolitico e neolitico e alle varie culture susseguitesi. Si tratta soprattutto di manufatti in ceramica tra i quali emerge un grande vaso su un piede molto alto della cultura di Pantalica: in ceramica monocroma rossa e lucida ha una linea molto semplice ed elegante. Chiudono questa prima parte i "ripostigli", insieme di oggetti di bronzo (punte di lance, cinturoni, fibbie) racchiusi in un contenitore e nascosti alla vista (sottoterra o in un anfratto).

Settore B: la colonizzazione greca - Vengono presentati reperti che testimoniano la nascita e lo sviluppo delle colonie greche nella Sicilia orientale. Tre sono le colonie ioniche: Naxos, Katane e Leontinoi. Da quest'ultima proviene il bel Kouros acefalo in marmo. Due invece le colonie doriche: Megara Hyblaea e Siracusa, particolarmente rappresentate. La singolare statua della Dea Madre che allatta due gemelli (VI sec. a.C.), in calcare, proviene dalla necropoli di Megara Hyblaea. Acefala, seduta, ha un corpo imponente e materno che si allarga ad accogliere e contenere i due neonati che sembrano quasi divenire un tutt'uno con lei. La collezione dedicata a Siracusa è molto ricca e comprende due dei reperti più spesso riprodotti: la lastra fittile a bassorilievo policromo di una gorgone, proveniente dal Temenos deIl'Athenaion, ed il cavallino in bronzo, simbolo del museo, ritrovato nella necropoli del Fusco. Prima della sezione dedicata alla colonia di Siracusa è esposta (provvisoriamente) la Venere Anadiomede, detta Venere Landolina dal nome dello scopritore. Copia romana di un originale di Prassitele largamente utilizzato come modello nell'antichità (Venere Medici, Venere Capitolina), ha linee sinuose e gentili. La grazia del gesto con cui sorregge il drappo è sottolineata dal delicato panneggio plissettato che sembra suggerire, nella forma, una conchiglia.

Settore C: subcolonie e centri ellenizzati - La prima parte, dedicata alle subcolonie di Siracusa, presenta belle figure antropomorfe tra cui quella di un cavaliere a cavallo. La seconda invece illustra la storia dei centri minori. Spicca la grande figura fittile di Demetra o Kore assisa in trono, opera della seconda metà del VI sec. a.C. L'ultima parte è dedicata ad Agrigento e Gela. Da quest'ultima provengono l'imponente maschera di Gorgone dipinta, elemento del fregio decorativo di un tempio ed una bella pelike attica a figure rosse, opera di Polignoto.
Tre statuette arcaiche in legno provenienti da Palma di Montechiaro costituiscono un raro esempio di arte votiva probabilmente diffusa, ma poco testimoniata a causa della deperibilità del materiale con cui veniva creata.

A PASSEGGIO PER "TYCHE" E "ACRADINA"

Museo del Papiro - La riscoperta del papiro a Siracusa è da attribuirsi a Saverio Landolina che, nel XVIII sec., rivaluta la presenza della pianta, utilizzata fino a quel momento a scopo decorativo dalla popolazione locale, e riesce a riprodurre il processo di fabbricazione della carta (nel museo ve ne sono parecchi esempi).
Il materiale esposto nel museo copre tutti gli ambiti di utilizzo del papiro, dagli scritti di epoca faraonica (tra cui alcuni frammenti del Libro dei Morti), ai manufatti in corda, ai ventagli, alle stesse varietà della pianta, alle imbarcazioni leggere, adatte soprattutto alle zone paludose, con estremità leggermente rialzate ed ancora utilizzate per caccia e pesca da alcune popolazioni africane. L'ultima parte è dedicata alla carta: dalla sua fabbricazione (ricostruzione di un tavolo da lavoro) ai pigmenti e strumenti utilizzati dallo scriba.

Catacombe di S. Giovanni - Sorgono nella zona di Acradina, che fin dal periodo romano è stato luogo deputato al culto dei morti. Al contrario delle catacombe romane, scavate in fragile tufo e quindi forzatamente anguste (per scongiurare il pericolo di crolli), quelle siracusane sono state scavate in uno strato di solida roccia calcarea che permise il crearsi di ampi spazi.
Le Catacombe di S. Giovanni, sorte intorno alla tomba di S.Marciano, uno dei primi martiri, hanno una struttura complessa e risalgono al IV-V sec. Si costituiscono intorno ad un rettilineo principale ricavato seguendo il tracciato di un acquedotto greco probabilmente in disuso. Da esso si staccano, ad angolo retto, i cardini minori. I sepolcri si trovano lungo le pareti e sono ad arcosolio e polisomi, cioè a più "posti", fino ad un numero massimo di venti. Tra l'uno e l'altro si trovano loculi più piccoli e meno profondi destinati ai bambini. Ad intervalli si aprono aree circolari o quadrate, utilizzate dai cristiani come camere sepolcrali di martiri e santi. Tra queste la più nota è la Rotonda di Adelfia, ove è stato ritrovato un bellissimo sarcofago scolpito con scene bibliche (in attesa di collocazione probabilmente al 2° piano del Museo Archeologico). Lungo il tracciato si incontrano inoltre cisterne coniche di epoca greco-romana trasformate poi in cubicoli.

Cripta di S. Marciano - Si trova vicino alla necropoli, ove si suppone sia stato ucciso il martire. A croce greca è circa 5 m sotto il livello del terreno. La parete di fondo si apre in tre piccole absidi semicircolari. In quella di destra si trova l'altare dove si dice abbia predicato l'apostolo Paolo al suo ritorno da Malta, nel 60 d.C (Atti degli Apostoli, cap. 28, 12). Di fianco, sul lato destro si trova un sepolcro in muratura che la tradizione identifica come quello del martire. Si tramanda che la finestrella sul lato permettesse ai fedeli di vedere e passare un panno sul corpo del santo per poi conservarlo come reliquia. Ai quattro angoli della volta centrale si elevano pilastri sormontati da capitelli bizantini con la raffigurazione dei quattro evangelisti.

Basilica di S. Giovanni Evangelista - Sorge sopra la cripta. Diroccata e scoperchiata, è uno dei luoghi più affascinanti di Siracusa e la suggestione si fa più intensa al tramonto soprattutto dei giorni festivi, al momento delle celebrazioni religiose. Le origini della basilica sono legate alla cripta del martire, sopra la cui sepoltura si era soliti edificare un luogo di culto. Distrutta dagli Arabi, la basilica è stata ripristinata dai Normanni. La facciata della chiesa normanna, ornata di un bel rosone, è ancora visibile lungo il lato sinistro. Il terremoto ha distrutto gran parte della chiesa e ha fatto crollare il tetto, non più ricostruito. Il portico che precede la facciata è una ricostruzione fatta utilizzando materiale deI '400.
All'interno l'altare principale, fiancheggiato da un'euforbia a candelabro, è bizantino.

Basilica di S. Lucia extra Moenia - Si affaccia sull'omonima piazza, grande spazio rettangolare pervaso di tranquillità. La tradizione vuole la sua edificazione nello stesso luogo del martirio della santa awenuto nel 303 e testimoniato dalla tela di Caravaggio (oggi a palazzo Bellomo). Bizantina, è stata rimaneggiata in seguito, fino alla sua forma attuale, che risale al XV-XVI sec. Le parti più antiche ancora esistenti sono il portale della facciata, le tre absidi semicircolari e i primi due ordini del campanile (XII sec.). Il soffitto ligneo a capriate con decorazioni dipinte risale al XVII. Sotto la chiesa sussistono le Catacombe di S. Lucia (non visitabili), presenza che avvalorerebbe la tesi del martirio in questi luoghi.
Sulla stessa piazza, un piccolo edificio ottagonale, opera di Vermexio, è il sepolcro destinato alla Santa, i cui resti, portati a Costantinopoli nell'XI secolo dal generale bizantino Maniace, poi a Venezia in seguito alla presa della città durante la quarta crociata, sono oggi conservati nel Duomo.

Santuario della Madonna delle Lacrime - Visibile fin da lontano per la sua struttura conica in cemento armato, imponente (80 m di diametro alla base per 74 di altezza) e singolare, il santuario è nato in seguito ad un evento prodigioso awenuto nel 1953 (la lacrimazione di un quadro della Madonna) ed è meta oggi di numerosi fedeli. E opera degli architetti francesi M. Andrault e P. Parat e dell'italiano R. Morandi che si è occupato della parte strutturale. All'interno la vertiginosa sensazione di altezza viene sottolineata e valorizzata dalle linee verticali e dalle strette finestre che corrono verso l'apice.

Ginnasio Romano - Si trova lungo via Elorina, poco oltre il Foro Siracusano, e, come quest'ultimo. faceva parte dell'antica agorà di Acradina. La denominazione è errata. Si tratta in realtà di un edificio complesso formato da un quadriportico, un piccolo teatro di cui sono ancora visibili i gradini della cavea ed un tempietto marmoreo che costituiva la scena.

"EPIPOLI"

Castello di Eurialo - Lungo via Epipoli, in località Belvedere, a 9 km ca a nord-ovest. La strada che raggiunge la fortezza, permette di rendersi conto dell'imponente aspetto difensivo che la città assume sotto Dionisio il Vecchio. L'abile stratega, oltre a fortificare Ortigia. decide di cingere la città di mura inglobando anche i due quartieri di Tyche e Neapolis, fino a quel momento extra-moenia. e quindi facili prede di attacchi. In quest'ottica dà inizio alla costruzione delle imponenti mura dionigiane (27 km) lungo l'altopiano dell'Epipoli, che racchiude a nord la città. La cinta era costituita da due pareti parallele di blocchi squadrati di pietra calcarea il cui interstizio era riempito di pietrame. Alta 10 m e larga circa 3 m. era provvista di postierle che assicuravano il passaggio senza offrire al possibile nemico un facile punto di attacco, come invece potevano essere le porte (proprio per questo erano affiancate da torri difensive). Un tratto delle mura è visibile lungo la strada che conduce a Belvedere (sulla sinistra).
Sulla sommità dell'altipiano viene edificato il castello, chiamato Eurialo dal nome del promontorio su cui sorge, a forma di testa di chiodo (gr. Euryelos). La fortezza è una delle più imponenti dell'antichità. Tre erano i fossati da superare prima di giungere al mastio, cuore della fortezza, e percorsi da gallerie sotterranee che rendevano impossibile controllare il passaggio delle guarnigioni e dei rifornimenti e facilitavano lo sgombero dei materiali che i nemici gettavano nei fossati, Il nemico, se mai fosse riuscito ad entrare, sarebbe rimasto disorientato. L'ingresso della zona archeologica coincide con il primo di quei fossati. Poco più avanti si delinea il secondo, profondo, dalle pareti verticali ed infine il terzo, vera e propria opera strategica. Quest'ultimo presenta tre piloni alti e ben squadrati che testimoniano l'esistenza di un ponte Ievatoio comunicante con l'area del mastio. Il lato orientale è percorso da una serie di gallerie comunicanti una delle quali, lunga addirittura 200 m, giungeva fino alla porta a tenaglia (Tripylon), una delle uscite della fortezza. Lungo il lato occidentale del fossato si aprivano invece dei vani adibiti a deposito per le vettovaglie.
Alle spalle si erge il mastio quadrato, preceduto da un imponente schieramento di cinque torri difensive. Oltre il mastio si penetra in un recinto con ancora visibili, sulla destra, tre cisterne quadrate. Sulla punta estrema, si gode di un bel panorama su Siracusa (di fronte) e, a sinistra, sulla piana.

FUORI CITTA'

Tempio di Giove Olimpico - Lungo via Elorina, a circa 3 km dalla città, alla fine di una stradina che si diparte sulla destra (indicazione).
In posizione panoramica, leggermente sopraelevato, il tempio è stato costruito intorno al VI sec. a.C. L'aspetto, grandioso, doveva essere pari all'importanza che l'edificio rivestiva.

Fonte Ciane - 8 km a sud-est. La foce del Ciane, che quasi si unisce al vicino fiume Anapo, principale collegamento con la zona interna di Pantalica è il punto di partenza per l'escursione in barca che permette di risalire un tratto del corso d'acqua. Appena partiti si giunge in vista del porto grande di Siracusa (bel panorama) per poi proseguire lungo un tratto ove la vegetazione è ricca di canne, frassini secolari ed eucaliptus. Poi, oltre una chiusa, ci si immerge in una rigogliosissima "folla" di papiri che si china sull'acqua. E' qui che secondo il mito la ninfa Ciane, legata ad Anapo, si oppone al rapimento di Persefone da parte di Ade e viene per questo tramutata in sorgente.

STORIA

Colonizzata intorno all'VIII sec. a.C. dai Greci di Corinto che si stanziano sull'isola di Ortigia. Siracusa cade ben presto in mano a tiranni. Al momento del suo massimo splendore (V-IV sec. a.C.) la città conta circa 300.000 abitanti e domina la Sicilia. Tra il 416 ed il 413 si scatena un furioso conflitto tra Siracusa ed Atene, i cui guerreri sono capeggiati da Alcibiade. E' uno degli episodi più famosi e cruenti della storia antica. Passata ai Romani, viene poi occupata dai barbari, dai Bizantini, dagli Arabi e dai Normanni.

I tiranni di Siracusa - Il tiranno, figura antica che corrisponde all'odierno dittatore, è uno dei personaggi che spesso si incontra ripercorrendo la storia della Sicilia in periodo ellenistico ed in particolare di Siracusa. Gelone, già tiranno di Gela, nel 485 a.C. estende il suo dominio su Siracusa. Le sue mire espansionistiche causano l'ostilità dei Cartaginesi che si trasforma ben presto in aperto scontro. Gelone, alleatosi con Terone, tiranno di Agrigento, riesce a sconfiggerli nella celebre battaglia di Himera (485 a.C.). Gli succede il fratello Ierone che durante il suo governo aiuta Cuma a sbarazzarsi della minaccia etrusca (474 a.C.).
Dopo un breve periodo di democrazia caratterizzato da scontri con Atene, sale al trono il famoso Dionisio il Vecchio (405-367). Stratega accorto, basa il suo governo sul consenso popolare, ottenuto attraverso regalie e favori, e sulla sua figura di difensore contro il pericolo punico, che però non riesce a sgominare. Sotto di lui Siracusa diviene una vera e propria potenza. Da un punto di vista personale, invece, appare come una figura sospettosa, timorosa di complotti contro di lui. Le paure divengono vere e proprie manie di persecuzione e sfociano nella sua volontaria reclusione nel castello di Ortigia, da lui resa fortezza inespugnabile e dimora riservata alla corte. La sua storia è costellata di stranezze che danno adito a numerose dicerie, a metà tra la leggenda e la realtà. Narrano quindi Valerio Massimo, Cicerone e Plutarco che, non fidandosi dei barbieri, il tiranno affida alle figlie il compito di raderlo, ma, intimorito che esse stesse possano ucciderlo, le obbliga ad utilizzare gusci di noci arroventati al posto di coltello e cesoie; fa scavare intorno al talamo nuziale un piccolo fossato con un ponticello che toglie dopo essersi coricato e, per dimostrare come la vita di un regnante sia densa di pericoli, fa appendere sopra il capo di Damocle, cortigiano invidioso, una spada affilata e sostenuta da un semplice crine di cavallo (da qui la locuzione Spada di Damocle utilizzata per esprimere l'incombere di una minaccia). La sua cupidigia lo porta persino, si dice, ad appropriarsi del mantello aureo della statua di Zeus e a farlo sostituire con uno di lana.
Alla sua morte sale il figlio, Dionisio il Giovane, non dotato delle stesse capacità politiche del padre, seguito dal sanguinario Agatocie, che per prendere il potere non esita a massacrare gli aristocratici. Anche il suo tentativo di scacciare i Cartaginesi dalla Sicilia si rivela vano (sconfitta ad Imera nel 310 a.C.)
L'ultimo dei tiranni a governare Siracusa è Ierone II. Nel 212 la città passa nelle mani dei Romani sotto i quali diviene capitale della provincia di Sicilia.

Le distrazioni di Archimede - Della vita di Archimede, celebre matematico nato a Siracusa nel 287 a.C., non si hanno notizie certe. Si narra che fosse così distratto ed assorto nei suoi studi da dimenticare persino di bere e di mangiare. I suoi servitori erano costretti a trascinarlo a forza ai bagni ed anche là continuava a tracciare figure geometriche disegnando nella cenere. E' nella sua vasca da bagno che scoprì il principio che lo rese famoso: un corpo immerso in un liquido riceve una spinta uguale e contraria al peso del volume di liquido spostato. Raggiante si alzò di scatto e uscì di casa correndo ed urlando "Eureka" (ho trovato!).
Si occupò di aritmetica, geometria, fisica, astronomia ed ingegneria. Tra le sue invenzioni meccaniche vi sono la coclea (o vite di Archimede), un cilindro contenente una superficie elicoidale, la ruota dentata, le sfere celesti e gli specchi ustori, un gioco di lenti e specchi con i quali riuscì ad incendiare la flotta romana. Si narra inoltre che quando i Romani riuscirono a penetrare nella città, Archimede, immerso nei suoi calcoli, non se ne accorse e morì trafitto dalla spada di un soldato.

Le muse di Siracusa - Durante il periodo antico la città svolge un ruolo fondamentale per le arti. Molti dei regnanti infatti si interessano anche dell'aspetto artistico ed accolgono poeti e scrittori. C'è anche chi, come Dionisio il Vecchio, si cimenta nello scrivere, pur senza grande successo. Il primo ad interessarsi concretamente all'arte è Ierone I che si proclama protettore dei poeti e riceve alla sua corte artisti del calibro di Pindaro e Eschilo, padre della tragedia antica ed autore dei Persiani (470 a.C ca) e delle Etnee, rappresentati nel teatro greco che sorge nel quartiere di Neapolis. Platone ha con Siracusa, ma soprattutto con i suoi regnanti, un rapporto travagliato. Dionisio il Vecchio lo accoglie a malincuore, per poi espellerlo poco dopo: alla sua morte il filosofo ritorna (protetto dal reggente Dione), ma anche questa volta viene espulso da Dionisio II e fallisce il suo progetto di creare uno stato filosofico. Teocrito, iniziatore di quella poesia bucolica in cui poi brillerà Virgilio, è probabilmente originario della città. In tempi più recenti Siracusa dà i natali a Salvatore Quasimodo (1901-1968), poeta pervaso del malessere di vivere che esprime con versi sempre più ermetici e incisivi che gli valgono, nel 1959, il Premio Nobel.

TURISMO

Siracusa dal mare - E' possibile compiere il giro del Porto Grande e dell'Ortigia, affidandosi alla Motonave Selene che da marzo a novembre (ed oltre, se il tempo ed il mare lo permettono) naviga sottocosta offrendo una visuale ed una prospettiva diversa della città. Il giro, della durata media di 35 min, può essere "allungato" a piacere ed includere, su prenotazione, il pranzo o la cena. Particolarmente suggestivo il percorso nelle ore del tramonto o di notte quando i singoli punti di interesse vengono di volta in volta illuminati. E bene sottolineare che questo è anche l'unico modo per avere piena visione ravvicinata del Castello Maniace che, in quanto caserma militare, non è visitabile nè visibile dalla terraferma (se non dal lungomare di Levante).

Non solo alberghi - Il Domus Mariae è un piccolo ed elegante albergo gestito da religiose, proprio nel cuore di Ortigia. La zona di Siracusa e provincia offre una serie di alternative al più tradizionale albergo, quali il campeggio ed i centri agrituristici. Gli indirizzi e le caratteristiche sono disponibili presso l'Azienda Provinciale per l'Incremento Turistico di Siracusa. E per cenare si consiglia di restare in Ortigia ove i vicoli nascondono ristoranti caratteristici


NOTO
In una regione in cui abbondano olivi e mandorli,
Noto è un piccolo gioiello barocco arroccato su un altopiano che domina la valle dell'Asinaro, coperta di agrumi. La sua bellezza, così armoniosa da sembrare una finzione, la scena di un teatro, nasce da un fatto tragico: il terremoto del 1693, che in questa parte di Sicilia portò distruzione morte, ma diede impulso alla ricostruzione. Prima di allora la città sorgeva a 10 km di distanza. Di origini assai antiche, Noto diede i natali a Ducezio, che nel V sec. a.C. fece tremare i Greci per aver fatto insorgere contro di loro i Siculi. Il terremoto del 1693 distrugge completamente la città. Per la ricostruzione viene scelto un luogo meno impervio e più vasto, che permetta la realizzazione di un impianto semplice, lineare, con intersezioni ad angolo retto e strade parallele ed ampli come vuole il nuovo gusto barocco. Tre le strade principali che corrono da est a ovest perchè il sole le illumini sempre. Tre i ceti sociali che vi si stabiliscono: la prima, Più alta, viene destinata alla nobiltà, la centrale al clero (l'unica eccezione è il palazzo secolare dei Landolina), l'ultima al popolo. I palazzi sono maestosi, tutti costrui nella pietra calcarea locale, tenera e compatta, dal candore che il tempo ha colorato creando quella magnifica tinta dorata e rosata che la luce del tramonto accentua, questa ricostruzione, condotta dal Duca di Camastra, rappresentante a Noto del vicerè spagnolo, partecipano molti artisti siciliani, tra i quali Paolo Labisi, Vincenzo Sinatra e Rosario Gagliardi, che, influenzato da Borromini, è forse uno dei più inventivi. La cittàviene costruita come se fosse una scenografia, studiando e truccando le prospettiva in modo singolare, giocando con le linee e le curvature delle facciate, con le decorazioni delle mensole, i riccioli e le volute, i mascheroni, i putti, i balconi dai parapetti in ferro battuto che si piega in forme aggraziate e panciute. Creazione originale c maestri locali. Noto si inserisce comunque nel panorama che dalle mani degli artisi italiani vede fiorire il sogno barocco in tutta Europa e che dà vita alla nuova capitale russa, San Pietroburgo.

I
L CENTRO BAROCCO

L'asse principale è corso Vittorio Emanuele, scandito da tre piazze. In ogni piazza una chiesa, il corso è annunciato dalla Porta Reale, monumentale ingresso a forma di arco di trionfo, eretto nel XIX sec. La porta è sormontata da un pellicano, simbolo dell'abnegazione nei confronti di Re Ferdinando. Ai due lati si trovano una torre, simbolo di fortezza ed un cirneco (antica razza canina siciliana), sinbolo di fedeltà. Alle spalle si stende un viale alberato fiancheggiato dal bel Giardino Pubblico caratterizzato dalle macchie viola della bougainvillea e dai ciuffi delle palme tra i quali emergono i busti marmorei di famose personalità locali. E' uno dei luoghi di ritrovo degli abitanti.

Piazza Immacolata - E' coronata dalla facciata barocca, abbastanza semplice, di S. Francesco all'immacolata (opera di Sinatra) preceduta da un'imponente scalinata che in alto si apre in una terrazza delimitata dall'omonimo convento e con al centro la statua della Vergine. All'interno della chiesa, sono custodite opere provenienti dalla chiesa francescana di Noto antica, tra cui una Vergine col Bambino in legno dipinto attribuita a Antonio Monachello (1564) (sull'altare) e, lungo a navata, sulla destra, la lastra tombale di un padre francescano (1575). A sinistra della chiesa, all'imbocco di via S. Francesco d'Assisi, si eleva il bel Monastero dei SS. Salvatore con l'elegante torre dalla facciata curvilinea, antico belvedere. Deliziose le panciute grate in ferro battuto alle finestre che caratterizzano anche il Convento di S. Chiara (sul lato opposto del corso), opera del Gagliardi.

Piazza Municipio - E' la più maestosa e movimentata delle tre piazze, delimitata a sinistra dalla facciata mossa di Palazzo Ducezio, a destra dalla sinuosa scalinata della Cattedrale cui si affiancano due belle esedre.

Cattedrale - L'ampia facciata, scandita da due campanili che la delimitano, lascia intravedere in secondo piano i resti della cupola, purtroppo crollata, con gran parte della navata centrale, nel 1996. L'edificio è preceduto da un'amplissima scalinata digradante nella piazza e fiancheggiata da due esedre alberate, ciascuna sovrastati da un percorso lastricato che ne sottolinea l'andamento curvilineo. Ai lati della cattedrale, allo stesso livello, il Palazzo Vescovile (XIX sec.) e Palazzo Landolina di Sant'Alfano hanno linee più sobrie e sembrano controbilanciare l'esuberanza degli altri edifici.
Il lato opposto della piazza è invece occupato dalle armoniose linee curve di Palazzo Ducezio, cinto da un porticato classicheggiante, opera di Sinatra. Fino agli anni '50 il piano superiore non esisteva.
Il lato orientale della piazza è coronato dalla facciata della Basilica del SS.Salvatore.

Via Nicolaci - Proseguendo lungo corso Vittorio Emanuele, sulla destra. Lo sguardo si lascia condurre lungo questa via, leggermente in salita, chiusa a monte dalla Chiesa di Montevergini, dalla bella facciata concava inquadrata tra due campanili, opera di Sinatra. I due lati della via sono fiancheggiati da bei palazzi barocchi. Spicca, sulla sinistra, Palazzo Nicolaci di Villadorata dai balconi esuberanti, con mensole fantasiose a forma di putti, cavalli, sirene e leoni e figure grottesche tra cui spicca, al centro, un personaggio dalle fattezze tipicamente mediorientali (naso camuso e labbra grosse). Terminati i lavori di restauro il palazzo riaprirà le sue sale al pubblico.
Verso metà maggio, dietro i portoni dei palazzi, fa capolino la gente del posto circondata da un tappeto coloratissimo: sono i petali che serviranno a comporre l'infiorata. Il selciato della via si trasforma in una lunga tela che gli artisti riempiono di pennellate di petali variopinti, a formare quadri ogni anno diversi.
Ritornando in corso Vittorio Emanuele si incontra poi, sulla sinistra, l'imponente complesso della Chiesa e Collegio dei Gesuiti attribuito a Gagliardi, il bel portale centrale è racchiuso da quattro colonne sovrastate da mascheroni mostruosi.

Piazza XVI Maggio - E' dominata dall'elegante facciata convessa della Chiesa di S.Domenico, opera di Gagliardi, definita da linee vigorose, sottolineate dalle colonne sovrapposte che scandiscono i due ordini divisi da un alto cornicione. L'interno, bianco, coperto di stucchi, ha altari in marmo policromo.
Davanti alla chiesa si trova la deliziosa Villetta d'Ercole con al centro l'omonima fontana, settecentesca. Di fronte si staglia l'ottocentesco Teatro Vittorio Emanuele III.
Via Ruggero VII, seconda traversa sulla sinistra di corso Vittorio Emanuele, permette di raggiungere la Chiesa del Carmine, caratterizzata da una bella facciata concava e da un portale barocco. Ritornando in piazza XVI Maggio, salire lungo via Bovio, fiancheggiata sulla destra dalla Casa dei Padri Crociferi.

Via Cavour - E' la via sovrastante e parallela a corso Vittorio Emanuele. Passaggio nobile, è fiancheggiata da edifici interessanti tra cui Palazzo Astuto (n° 54) con bei balconi dalle ringhiere bombate e Palazzo Trigona Cannicarao (n° 93).
Superato il palazzo voltare a sinistra in via Coffa e in fondo ancora a sinistra. Costeggiato Palazzo Impellizzeri, in stile tardo-barocco, voltare a destra in via Sallicano. In fondo prospetta la Chiesa del SS. Crocefisso, progettata da Gagliardi. All'interno è conservata la Madonna della Neve di Francesco Laurana, dai tratti delicati.

Uno sguardo diverso


Andar per vicoli - Tutt'intorno all'impianto regolare settecentesco del centro storico, sono "sorti" i quartieri popolari (Agliastrello. Mannarazze, Macchina Ghiaccio, Carmine) caratterizzati dagli stretti, tortuosi e spesso labirintici vicoli che contraddistinguono i borghi medievali. L'associazione Allakatalla, oltre ad offrire un servizio di visite guidate per il centro storico, organizza percorsi alternativi in questi quartieri e li arricchisce con racconti e leggende popolari. Un vero e proprio tuffo nel passato, ancor più suggestivo se fatto la sera, quando le luci soffuse creano un'atmosfera quasi magica. Allakatalla, largo Porta Reale, 10/3 0931/ 8350050.



DINTORNI

Noto Antica - 9 km ca a nord-ovest. Lungo la strada che conduce al luogo ove sorgeva la città vecchia, un'indicazione segnala l'Eremo di S. Corrado fuori le Mura, immerso nel verde. Vicino al santuario, settecentesco, si può visitare la grotta ove, nel XIV sec. visse il santo. Riprendendo la strada si incontra poi il Santuario di S. Maria della Scala. All'interno, alle spalle del fonte battesimale, si trova un bell'arco in stile arabo-normanno. Poco più avanti si giunge al sito ove sorgeva Noto prima del terribile terremoto deI 1693. L'antica città si sviluppava lungo il crinale dell'Alveria, chiusa tra due profonde gole che rendevano il sito facilmente difendibile. Attraverso la Porta Aurea ci si addentra fra le strade, un tempo gremite di gente ed ora immerse nella vegetazione, in un suggestivo percorso segnato da pochi ruderi che sbucano tra gli arbusti.

Cava Grande (Laghetti di Avola) - 19 km ca a nord. La visita a Cava Grande consente di scoprire i paesaggi nascosti degli lblei, il massiccio carsico che occupa la porzione sud-orientale della Sicilia, lungo un itinerario poco frequentato e di notevole interesse naturalistico. Percorrendo la strada che collega Palazzolo Acreide a Noto, seguire la deviazione per Avola e poi la strada secondaria con indicazione turistica per Cava Grande. Si giunge al Belvedere, abbandonare l'auto. Da qui si gode di una bella vista sulla Gola di Cava Grande con le imponenti pareti calcaree a picco sul fondovalle, occupato dal corso d'acqua che si apre in suggestivi piccoli laghetti, raggiungibili percorrendo il sentiero che scende nella gola. Leggermente sulla sinistra, si intravede un'apertura scavata nella roccia. E' la cosiddetta Grotta dei Briganti, solo una piccola testimonianza di quegli insediamenti rupestri che caratterizzano tutte le zone rocciose del sud-est della Sicilia. Si pensa che questa in particolare fosse una conceria.
Discesa - In mezz'ora di cammino (ma il ritorno in salita richiede un tempo almeno doppio), si raggiunge il fiume (la "cava" secondo un toponimo locale). Per tracce talvolta poco evidenti si costeggia il corso d'acqua, seguendo il verso della corrente, immersi nella vegetazione rigogliosa. Dopo alcune centinaia di metri si raggiunge una zona aperta dove il fiume forma una successione di limpide piscine naturali scavate nella roccia e contornate da massi appiattiti, ideali per una sosta al sole. Nella stagione estiva le fresche acque invitano al bagno in quest'ambiente che sembra estraneo al paesaggio tipico siciliano e che costituisce un'alternativa insolita e consigliabile.

ACI CASTELLO
Piccolo borgo marinaro sulla costa orientale della Sicilia, nel tratto chiamato a ragion veduta Riviera del Limoni, è una delle nove "sorelle" accomunate dal prefisso Aci. Questo tratto di litorale, oltre ai numerosi limoni, è ricca di agavi e palme.

Il castello - In nera pietra lavica, questa fortezza normanna è arroccata su uno sperone di roccia sul mare ed è visibile dalla strada. Il luogo è fortificato fin dai tempi dei Romani quando qui sorgeva la Rocca Saturnia. Più volte distrutta venne riedificata da re Tancredi nel 1189. Sotto i Borbone (1787) il castello venne adibito a prigione. Dalla cima si gode di una bella vista sui Faraglioni dei Ciclopi e sull'Isola Lachea. Il castello ospita un piccolo Museo Civico a sfondo didattico che riunisce minerali e reperti archeologici.

STORIA

Aci e Galatea
Figlia di Nereo, ninfa marina, Galatea si innamora di Aci, pastore figlio di Pan. Della fanciulla purtroppo si accorge anche Polifemo, il terribile ciclope avversario di Ulisse. La ninfa gli resiste e, sconvolto dalla gelosia e dall'odio, il mostro dagli antri del Mongibello uccide il pastorello. Zeus, colto da pietà per il dolore della nereide, tramuta allora l'amante in fiume, (l'attuale Akis) che scorrendo verso il mare, dimora di Galatea, permette il perpetuarsi degli incontri dei due amanti.

Le nove Aci - Narra una leggenda popolare che il corpo del pastorello ucciso da Polifemo si sia smembrato in nove parti cadute dove poi sono state fondate Aci Bonaccorsi, Aci Castello, Aci Catena, Aci Platani, Acireale, Aci S. Filippo, Aci S. Antonio, Aci S. Lucia ed Aci Trezza. La costa viene anche chiamata Riviera dei Ciclopi.

MASCALI
Mascali si sviluppa a 18 metri sul livello del mare, nella parte piu' a valle del Parco dell'Etna, esattamente nella zona che giunge al litorale ionico.

In epoca normanna - dal 1092 - il centro rientrava nel feudo posto sotto la baronia comprendente anche le attuali Giarre, Milo, Riposto, e S. Alfio affidata al Vescovo di Catania. Nel XVI secolo la baronia fu trasformata in contea e tale rimase fino al 1812.

Il centro attuale nasce dalla ricostruzione imposta dall'eruzione dell'Etna avvenuta nel 1928.


Tra i principali monumenti della citta' occorre ricordare la Chiesa Madre che si presenta con la sua struttura interna comprendente tre navate dove si possono ammirare, tra l'altro, una settecentesca statua in marmo rappresentante il patrono cittadino, San Leonardo.

Nei dintorni cittadini ed esattamente alle pendici dell'Etna si trova la frazione Nunziata dove si trova la Chiesa della Nunziatella risalente al XII secolo che raccoglie degli affreschi tra cui spicca quello raffigurante il Cristo Pantocratore. Nelle vicinanze della Chiesa e' stata ritrovata una necropoli risalente al VII secolo.


L'ETNA E IL SUO VULCANO

Punto culminante della Sicilia, incappucciato dalla neve nel periodo invernale, l'Etna, ancora attivo, è uno dei più famosi vulcani d'Europa. La sua altezza, continuamente modificata dalle eruzioni, è oggi circa 3350 m s.l.m. L'altro nome dell'Etna, Mongibello, deriva da una errata interpretazione dell'arabo Gebel, monte, cui è stato aggiunto una seconda volta l'appellativo. Etna sarebbe così un suggestivo "due volte monte".

IL VULCANO E LA SUA STORIA
L'Etna nasce da eruzioni sottomarine che, in epoca quaternaria (circa 500.000 anni fa), formano anche la Piana di Catania, prima occupata da un golfo. Le eruzioni dell'Etna nell'Antichità sono assai numerose, almeno 135. Nel Medioevo il vulcano erutta nel 1329 e nel 1381, seminando il terrore nella gente che vive nella zona. Ma è nel 1669 che ha luogo il cataclisma più terribile: il torrente di lava scende fino al mare devastando in parte Catania al suo passaggio. In epoca più
recente le eruzioni più rilevanti sono quelle del 1910 con la formazione di ventitrè
nuovi crateri, quella del 1917 quando una fontana di lava zampilla fino ad 800 m al
di sopra della sua base, quella del 1923 dopo la quale la lava eruttata resta calda per oltre diciotto mesi.
Le ultime esplosioni di "collera" del vulcano hanno luogo nel 1928 quando una colata, di lava distrugge Mascali, nel 1954, 1964, 1971, 1974, 1978, 1979, 1981, 1983, 1985, fino a quella del 1991 che termina dopo ben tre anni.
L'Etna mantiene sempre il suo pennacchio di fumo e può in qualsiasi momento entrare in attività.
Tutt'intorno ai crateri, le colate di lava nere se sono recenti, grigie quando invece risalgono a tempi più lontani e cominciano a ricoprirsi di licheni, testimoniano con la loro presenza e, qua e là, con i loro funesti effetti (strade interrotte, edifici distrutti) l'incessante attività del vulcano.
A quasi 3000 m di altitudine, sul versante del cratere centrale, nella zona Torre del Filosofo il cui rifugio è stato distrutto dalla lava nel 1971, appaiono quattro crateri: quello di sud-est, nato nel 1978, l'immenso cratere centrale, quello di nord-est, la cima più alta, la cui attività non si è più manifestata dopo il 1971, e la Bocca Nuova, ultimamente la più attiva.
Per informazioni dettagliate sull'attività dell'Etna consultare il capitolo dedicato al Vulcanismo.

PARCO
Istituito nel 1987, il parco copre un'estensione di 59000 ha.
La montagna appare come un enorme cono nero, visibile in un raggio di 250 km. Alla sua base, estremamente fertile, prosperano numerose colture di aranci, mandarini, limoni, olivi, agavi, fichi d'india, nonchè banani, eucalipti, palme, pini marittimi e viti da cui si produce eccellente vino Etna. Tra la vegetazione spontanea, invece, particolarmente presente è l'euforbia arborea. Sopra i 500 m crescono noccioli, mandorli, pistacchi, castagni che più in alto lasciano il posto alle querce, ai faggi, alle betulle ed ai pini, soprattutto nella zona di Linguaglossa (si veda oltre). Il paesaggio a queste quote è inoltre caratterizzato dalla ginestra dell'Etna.
Superati i 2100 m di quota ha inizio la zona desertica dove si trova lo spinosanto (Astragalus siculus), piccolo cespuglio spinoso, a cui spesso si trovano associate variopinte varietà endemiche di viole, seneci e altri fiori che popolano le pendici dei crateri secondari. Verso le punte più elevate, la neve e la lava calda per lungo tempo, impediscono la crescita di qualsiasi tipo di vegetazione macroscopica. E' il
cosiddetto deserto vulcanico.
Il parco dell'Etna ospita anche una fauna variata di piccoli mammiferi (istrici, volpi,
gatti selvatici, donnole, martore, ghiri), volatili (gheppi, poiane, fringuelli, picchi,
upupe), alcuni rettili, tra cui la vipera, e moltissime farfalle tra le quali spicca l'Aurora deIl'Etna (Anthocharis damone)


LE ESCURSIONI
Molti sono gli itinerari possibili all'interno del parco, sia percorsi brevi che escursioni più lunghe, più complesse tra cui La Grande Traversata Etnea -GTE- (5 giorni di trekking con tappe dai 12 ai 15 km), sentieri natura e, per i più pigri, la circumetnea sia in auto (si veda oltre) che in treno.
Quest'ultima utilizza il tratto ferroviario che "circumnavigando" l'Etna, parte da Catania ed arriva a Riposto. Da qui, per rientrare a Catania è possibile prendere un autobus.
Per informazioni, rivolgersi allla Ferrovia Circumetnea 095/541246.
Per informazioni dettagliate sui percorsi ci si può rivolgere all'Azienda Provinciale
di Catania tel. 095/317722, all'Azienda di Soggiorno e Turismo di Nicolosi
tel 095/911505 o alle Pro Loco dei comuni etnei tra cui Linguaglossa (tel. 095/643094), Zafferana Etnea (tel. 095/70 82825) ed al Gruppo Guide Alpine Etna Sud a Nicolosi tel. 095/7914755).

Ascensione al vulcano - A causa delle eruzioni dell'Etna, le attrezzature turistiche (strade, piste, funivie, rifugi) non hanno carattere definitivo e possono
essere rimosse o soppresse a seconda della gravità dei danni arrecati dall'eruzione più recente. Le escursioni sul vulcano possono essere annullate in caso di maltempo (pioggia, nebbia). E' utile tenere presente che, soprattutto per il versante nord-est, il periodo in cui l'escursione è possibile varia ogni anno a seconda delle nevicate. All'inizio della stagione (normalmente a maggio) vengono effettuate gite più brevi che raggiungono quote meno elevate, solo quando le strade sono state liberate dalla neve e, nel tratto più alto, è passata la ruspa, si raggiunge quota 3000. Il periodo migliore per effettuare l'escursione quindi è
normalmente la piena estate. Il momento migliore sono le prime ore del mattino.

Equipaggiamento - Sia per le escursioni a quota più bassa che per quelle che
invece raggiungono le altitudini più elevate (si veda oltre) è necessario tener presente che, sebbene ci si trovi in Sicilia, qui la temperatura può raggiungere minime molto basse. E' quindi consigliabile essere equipaggiati con un maglione ed una giacca a vento e calzare scarpe adatte (meglio se scarponcini da trekking, perchè spesso in alto si trova la neve). Chi dovesse arrivare sprovvisto del giusto abbigliamento, può comunque noleggiare giacche a vento e scarpe adatte. Inoltre, dato che il riverbero del sole può essere molto intenso, è meglio essere sempre provvisti di occhiali da sole.

LE VIE DELL'ETNA
L'ascesa al vulcano può essere effettuata sia dal versante nord che dal versante
sud. I due percorsi offrono panorami e caratteristiche diverse.
Più brullo, nero e desertico il percorso che da Nicolosi porta al Rifugio Sapienza, immerso nel verde il tratto che conduce a Piano Provenzana.

Dalla costa al versante sud
Percorso di 45 km con partenza da Acireale - 1/2 giornata ca
Diversi sono gli approcci per raggiungere il versante sud del vulcano, quello più
brullo, nero di lava frantumata a formare un paesaggio dall'aspetto lunare. Molti
sono i paesini da cui si può passare per raggiungerlo e tutti hanno in comune una caratteristica: la pietra lavica a pavimentare le strade, ad ornare portali e finestre delle case, a creare mascheroni resi più minacciosi dal colore scuro, a sottolineare le linee delle chiese.

DINTORNI

Aci Sant'Antonio - La piazza Maggiore custodisce alcuni dei principali monumenti
cittadini ed è dominata dall'imponente facciata del Duomo, ricostruito dopo il
terribile terremoto del 1693. Di fronte si erge la cinquecentesca chiesa di S. Michele Arcangelo. Dalla piazza si snoda la centrale via Vittorio Emanuele chiusa, in fondo, da ciò che resta del palazzo della famiglia Riggio.

Viagrande - Il centro del paese è pavimentato a grandi lastroni di pietra lavica.
La settecentesca Chiesa Madre ha una facciata scandita dalla stessa scura pietra
che sottolinea le linee verticali, i portali e le finestre che li sovrastano.

Trecastagni - Contrariamente a quanto si possa pensare, il nome si riferisce ai tre santi (tre casti agni, cioè agnelli) qui venerati: Alfio, Filadelfio e Cirino. E' qui che ha luogo la festa dei tre santi con la processione del ceri, alcuni pesantissimi, che tra il 9 ed il 10 maggio vengono portati dagli ignudi fino al Santuario di S. Alfio, all'inizio del paese. Via Vittorio Emanuele, fiancheggiata da bei palazzi, permette di giungere ai piedi della Chiesa Madre di S. Nicola, caratterizzata da un campanile centrale. L'edificio è preceduto da una ripida scalinata fiancheggiata, sulla destra, da un'esedra che più in alto si scompone in un gioco di rampe asimmetriche. In alto, una terrazza permette di godere di una bella vista sulla piana sottostante.
Tra cucina e folclore - Il ristorante Villa Taverna, in corso Colombo 42 a Trecastagni, offre una particolarissima ambientazione e ripropone la ricostruzione di alcuni angoli del centro storico catanese, quasi una scenografia completa di oggetti che fanno rivivere un'epoca passata. La cucina propone un menù tipico siciliano a prezzo fisso.

Pedara - Piazza Don Diego è dominata dal Duomo, che presenta una singolare
cuspide maiolicata a vivi colori.

Nicolosi - E'considerata la porta dell'Etna. Qui hanno sede le guide Alpine Etna
Sud (tel. 095/7914755) e da qui si snoda la bella strada che conduce fino al Rifugio Sapienza, luogo di partenza per le escursioni al cratere.

Verso la cima dell'Etna - Il percorso permette di scoprire un volto inusuale e
proietta il visitatore in unta dimensione quasi fantastica, ove le note dominanti sono il nero della lava e l'azzurro del cielo con, qua e la, qualche spruzzo bianco di neve.
Prima di giungere al rifugio, un'indicazione segnala i Crateri Silvestri, una brevissima passeggiata a quota 1886 m. ma che ci catapulta sulla luna, con i suoi crateri.

Ascesa al versante sud - L'escursione si svolge parte in funivia (dal Rifugio
Sapienza) fino a 1923 m, parte in fuoristrada (fino a 2608 m).
L'ultimo tratto a piedi. Per ragioni di sicurezza non è più possibile avvicinarsi
alla bocca centrale. Si giunge però, dopo un breve cammino, ad una zona "calda", in cui la terra fuma.
La gita prevede anche una sosta in fuoristrada nei pressi della Valle del Bove, vasta zona depressa (da qui l'appellativo valle) delineata da muraglie di lava alte fino a 1000 m in cui si aprono crepacci e voragini. La zona è stata spesso teatro di eruzioni di cui alcune particolarmente pericolose, in cui la lava è riuscita a raggiungere i centri abitati (1852, 1950, 1979 e 1991).

Il versante nord-orientale
Percorso di 62 km con partenza da Linguaglossa - 1 giornata ca

Linguaglossa - Il paese, letteramente due volte lingua (Glossa in greco) testimonia, nell'ipotesi più intrigante, la sua posizione "calda" proprio sulle pendici
dell'Etna che spesso furono invase da sciare di lava incandescente. La piazza centrale è caratterizzata dalla presenza della Chiesa Madre, in pietra lavica e arenaria. All'interno, si può ammirare un bel coro ligneo del 1728 con scene della vita di Cristo.
La Pro Loco di Linguaglossa, lungo la via principale del paese, funge da principale
punto di riferimento per le escursioni sull'Etna. Materiale e pannelli esplicativi
all'interno della sede aiutano a conoscere il parco ed il vulcano, a programmare
le gite.
Lungo la strada Mareneve, fiancheggiata da una bella pineta di pini lanci, si giunge fino a Piano Provenzana dove si può lasciare la vettura per effettuare l'escursione ai crateri sommitali.

Ascesa al versante nord - In un bellissimo percorso, il pulmino fuoristrada raggiunge i 3000 m ca di altitudine. Su questo versante è stato installato il nuovo
osservatorio che ha sostituito quello distrutto dalla lava durante l'eruzione del 1971 (durata 69 giorni) che ha interessato sia il versante sud (ove oltre all'osservatorio viene "cancellata" la vecchia funivia), che il versante orientale ove la colata lavica arriva a minacciare alcuni centri abitati (Fornazzo, Milo) per fermarsi a circa 7 km dal mare. Dalle vicinanze dell'osservatorio, a 2750 m ca, si
gode di una magnifica vista. Si prosegue poi fino a quota 3000. Qui si abbandona il fuoristrada per procedere a piedi e vedere da vicino quelle terribili sbuffanti bocche che a seconda del loro umore decidono di risparmiare le terre attorno o di mondane di una sciara, o di fuoco vivo. Il percorso varia a seconda dei capricci del vulcano. Lungo il ritorno, viene effettuata una sosta a 2400 m d'altitudine, per vedere i crateri protagonisti dell'eruzione del 1809.

La strada orientale - Una volta ritornati a Piano Provenzana si può proseguire
lungo la strada panoramica Mareneve che costeggia la zona sommitale dal lato est. Sulle basse pendici del versante orientale dell'Etna, si trovano numerosi paesini agricoli che sfruttano la fertilità del suolo vulcanico per coltivare vite ed agrumi. In località Fornazzo, appena prima di immettersi sulla strada che collega Linguaglossa con Zafferana Etnea, si giunge fino all'incredibile colata lavica che, nel 1979, ha "rispettato" la piccola Cappella del Sacro Cuore (sulla sinistra) sebbene addossandosi ad uno dei muri e riuscendo a penetrare un poco
all'interno: Oggi è meta dei numerosi fedeli che vedono in questo un evento miracoloso e vi portano numerosi ex-voto. Da Fornazzo una breve deviazione sulla sinistra permette di raggiungere Sant'Alfio.

Sant'Alfio - Il paesino possiede una monumentale Chiesa Madre secentesca ma rimaneggiata nel XIX sec., con una singolare facciata a campanile in pietra lavica. Dalla terrazza antistante la chiesa si gode di una splendida vista sulla costa ionica. L'attrattiva principale di S. Alfio è però il castagno dei 100
cavalli (sulla provinciale per Linguaglossa), un maestoso esemplare di più di duemila anni, il cui tronco, formato da tre distinti polloni, ha una circonferenza di 60 m. Il nome gli deriva da una leggenda, secondo la quale la regina Giovanna (non si sa se Giovanna d'Aragona, regina di Castiglia o Giovanna d'Angiò regina di
Napoli) vi trovò riparo in una notte di tempesta con il suo seguito di 100 cavalieri.

Ritornare in direzione Fornazzo e proseguire a sinistra verso Milo.

Milo - Piccolo borgo agricolo, Milo deve la sua sopravvivenza nel corso del tempo
all'imprevedibile e cieco cammino della lava che lo ha sempre risparmiato. Molte
volte infatti, la colata è giunta vicinissima (nel 1950, 1971 e 1979) ed alla fine ha
deviato il suo corso.

Proseguire in direzione di Zafferana Etnea e raggiungere Trecastagni e poi Nicolosi per poi proseguire sul versante sud o verso Catania.

LA CIRCUMETNEA    (INFORMAZIONI AGGIUNTIVE)
Circuito di 154 km ca - 1 giornata

La strada che corre tutt'intorno all'Etna, permettendo di cogliere immagini sempre
diverse del vulcano, tocca alcuni interessanti paesini.

Catania.

Misterbianco - L'imponente chiesa settecentesca di S. Maria delle Grazie eleva la sua bella facciata sopra le case del paese ed è visibile fin da lontano. All'interno,
nell'abside di destra, è custodita una Madonna col Bambino attribuita ad Antonello Gagini.

Paternò - Nel 1072, Ruggero II edifica sull'alto di una rupe un castello dalle forme
squadrate, ma ingentilite, su uno dei lati, da una serie di bifore: una linea di quattro più piccole coronate da una molto più grande sopra. Il nero della lava contrasta con il candore degli elementi architettonici che risultano così molto evidenti. Intorno al castello sorgono anche i centri religiosi. Si costruisce la chiesa madre (di origine normanna, ma rifatta nel '300) e la Chiesa di S. Francesco. La
cittadina si sviluppa invece ai piedi della rupe ed ha un assetto secentesco.

Santa Maria di Licodia - Il centro della cittadina è costituito da piazza Umberto,
in posizione sopraelevata è delimitata dall'ex-monastero benedettino (oggi Municipio) e dalla Chiesa del Crocifisso.
Defilata lungo il lato sinistro della chiesa si può ammirare una bella torre campanarla (XlI-XIV sec.) con decorazione a fasce bicrome.

Adrano - Una delle cittadine etnee più antiche (le prime tracce risalgono all'epoca neolitica) Adranon sarebbe stata fondata dal tiranno Dionisio I nel V sec. a.C. Si possono ancora vedere resti delle mura ciclopiche a grossi blocchi squadrati in pietra lavica (seguendo via Catania e poi una deviazione a destra con segnaletica gialla). In periodo normanno viene costruito il Castello che ancora oggi troneggia nella centrale piazza Umberto. Squadrato, in pietra lavica, risale nella sua forma attuale all'epoca sveva. Al suo interno sono ospitati tre musei. Il Museo Etnoantropologico raccoglie oggetti di artigianato locale. Il Museo Archeologico Regionale, dislocato su tre piani, nipercorre attraverso i reperti la storia della zona (ma anche di altre aree della Sicilia orientale) dal Neolitico all'età bizantina.
Particolarmente degni di nota sono: (il banchettante, bronzetto di officina samia
(seconda metà del VI sec. a.C.) che decorava probabilmente un bacile in bronzo o una cesta, il busto in terracotta di una divinità sicula femminile rinvenuto in contrada Primosole (V sec. a.C.). un busto fittile femminile di tipo locrese (V sec.a.C.).
un gruppo fittile raffigurante Eros e Psiche e uno splendido cratere attico a colonnette (V sec.a.C.) (tutti i reperti citati sono al 2° piano). All'ultimo piano si trova la Pinacoteca in cui sono esposti dipinti su tela (tra cui opere dello Zoppo di Gangi, di Filippo Paladino e Vito D'Anna), vetro e metallo, sculture in legno, alabastro, bronzo databili dagli inizi del XVII agli inizi del XX sec. e una serie di opere di pittura e scultura contemporanee di artisti adraniti e non.
La piazza si allunga a est nel piacevole giardino della Villa comunale, su cui si
affaccia l'imponente prospetto della Chiesa e Monastero di S. Lucia. La facciata della chiesa, bicroma, è opera settecentesca di Stefano Ittar.

Centrale Solare Eurelios - Si trova a pochi chilometri da Adrano ed è stata realizzata nell'ambito di un progetto di ricerca dell'allora CEE, grazie al contributo di un consorzio italo-franco-tedesco. La centrale dopo una fase di sperimentazione durata dal 1981 al 1987 non è più utilizzata (poteva generare
una potenza di 1 MW): attualmente si sta invece sperimentando la produzione di
energia elettrica a partire dall'energia solare tramite pannelli fotovoltaici (costituiti da celle di silicio), nell'ambito del progetto dell'Enel di fornitura di energia ai rifugi di montagna o edifici isolati.

Ponte saraceno - Si trova fuori città, lungo il fiume Simeto.
Uscire da Adrano a sud e seguire le indicazioni per Bronte. Si giunge ad un bivio ed un cartello segnaletico indica il ponte. A sinistra ed a destra la strada è asfaltata; di fronte diparte invece una strada sterrata. Imboccarla e seguire il tracciato principale fino al fiume dove si trova il ponte. Di origine romana, il ponte è stato ricostruito sotto Ruggero II e rimaneggiato nelle epoche successive. Le arcate ogivali sono sottolineate da una fascia bicroma. Un breve percorso sulla sponda del fiume verso nord permette di scoprire le belle Gole del Simeto, anch'esse formate, come le gole dell'Alcantara (si veda alla voce) da una colata lavica (questa volta dell'Etna) "ripulita" dall'acqua che ha levigato i grandi massi basaltici.

Bronte - In centro al paese sorge il Collegio Capizzi, prestigiosa scuola settecentesca ospitata in un bel palazzo. A qualche chilometro di distanza, nei pressi di Maniace, anche se territorialmente sotto questo comune, si trova la bella Abbazia benedettina di Maniace, poi trasformata nel "Castello di Nelson".

Castello di Nelson
Da Bronte seguire le indicazioni. Si trova appena prima di Maniace. L'abbazia benedettina fondata nel XII sec.: per volontà della regina Margherita, moglie di Guglielmo il Malo, era situata lungo un'importante via di comunicazione con l'entroterra della Sicilia. La cappella annessa presenta un bel portale con capitelli stonati. All'interno si trova un'icona bizantina del XIII sec. ma popolarmente creduta l'originale portata dal condottiero bizantino Giorgio Maniace che nel 1040 inflisse una dura sconfitta agli Arabi proprio in questi luoghi. Il fiorente monastero subisce diverse modifiche, e viene alla fine donato da Ferdinando III all'ammiraglio inglese Nelson neI 1799.

Randazzo.

Linguaglossa

Dirigersi verso la costa, imboccando la deviazione per Marina di Cottone.

Riserva naturale del fiume Fiumefreddo - Il Fiumefreddo sgorga dalle pendici
nord-orientali dell'Etna dove, per l'elevata permeabilità delle rocce vulcaniche,
l'acqua si infiltra nel terreno e riaffiora poi in pianura, grazie alla presenza di un
substrato argilloso impermeabile. L'alveo del fiume è alimentato essenzialmente da
due risorgive, quella di Testa dell'Acqua e le Quadare (in dialetto siciliano paiola),
profonde fino a 10-12 m. Per apprezzare la profondità e la limpidezza delle acque
si consiglia di effettuare la visita nelle ore in cui il sole è più alto. L'acqua del fiume, che non supera mai una temperatura di 10-15°C anche in estate e ha la caratteristica di defluire lentamente, favorisce la presenza di una particolarissima vegetazione acquatica in cui a specie tipiche dell'Europa centrale come il ranuncolo a pennello si associano specie "africane" come il papiro. Altre specie vegetali presenti sono: il salice bianco, il giaggiolo acquatico, il pioppo tremulo, l'equiseto o erba cavallina. La presenza delle sorgive favorisce inoltre la
sosta degli uccelli di passo: aironi, beccacce, ricocoli e molti anatridi. Nella zona
limitrofa alla riserva si trova il settecentesco Castello degli Schiavi (privato, non visitabile), opera degli architetti Vaccarini e Ittar.

Giarre - La cittadina faceva parte della contea di Mascali, concessa in feudo al
vescovo di Catania da Ruggero II nel 1124. Il toponimo deriva infatti dalle giare in
cui venivano raccolte le decime dovute al vescovo su tutti i prodotti della terra. Il
Duomo è un'imponente costruzione neoclassica, con due torri campananie gemelle, di forma squadrata. L'arteria principale è via Callipoli, fiancheggiata da bei negozi e da residenze signorili, tra i quali è degno di nota il Palazzetto Bonaventura (n° 170), in stile liberty. Al n° 154, Palazzo Quattrocchi è caratterizzato da decorazioni in stile moresco.

Da Giarre dirigersi verso la costa in direzione di Riposto.

Riposto - Era qui che venivano "ripostate" le decime raccolte nella contea di
Mascali, che dovevano essere trasportate via mare. Il borgo si sviluppò infatti ad
opera di una colonia messinese (da cui il culto della Madonna della Lettera) attorno ai magazzini e nel XIX sec. divenne un importante centro commerciale per l'esportazione del vino. Vi sono infatti numerosi resti di edifici industriali del secolo
passato. Il grazioso Santuario della Madonna della Lettera, prospiciente il mare, fu
eretto nel 1710, anche se un edificio religioso esisteva probabilmente già in epoca
normanna, come dimostrano gli scavi sotto il santuario che hanno portato alla luce delle cripte con colatoi per cadaveri di epoca paleocristiana, monete di epoca arabo-normanna e resti architettonici del periodo aragonese. Il quadro della Madonna col Bambino, di incerta datazione, è posto su un altare settecentesco. Interessante il coro ligneo scolpito realizzato alcuni anni fa e singolare il lampadario barocco con decorazioni in madreperla, di probabile fattura locale.

 

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